‘Need for Speed’ nipponico

Se ci sono due paesi che, pur essendo stati in alcuni momenti storici “alleati”, non si sono mai capiti, questi sono l’Italia e il Giappone. Forse fu colpa di Madama Butterfly,  l’opera di Giacomo Puccini, definita nello spartito e nel libretto “tragedia giapponese” e dedicata alla regina d’Italia Elena di Montenegro. Fu certamente una tragedia per Puccini, un disastro totale, almeno la prima rappresentazione al Teatro alla Scala di Milano, nel febbraio 1904.

Il compositore lo ritenne niente meno che un agguato. Scrisse così a un amico: “…ti dico che fu un vero linciaggio. Non ascoltarono una nota quei cannibali. Che orrenda orgia di forsennati, briachi d’odio. Ma la mia Butterfly rimane qual è: l’opera più sentita e suggestiva ch’io abbia mai concepito. E avrò la rivincita, vedrai, se la darò in un ambiente meno vasto e meno saturo d’odi e di passioni”.

Ebbe ragione Puccini. Appena tre mesi dopo, al Teatro Grande di Brescia, la produzione si affermò oltre ogni misura e di lì fu un continuo trionfo, al Regio di Torino, al San Carlo di Napoli e poi nel mondo, al Covent Garden di Londra, al Théâtre National de l’Opéra-Comique di Parigi, al Metropolitan Opera House di New York e così via.

L’opera, con il suo spettacolare successo, contribuì però a fissare lungamente nella mente popolare un’immagine del Giappone tutta geisha-kimono-cerimonia del tè che è sopravvissuta fino a pochi decenni fa, perfino attraverso la Seconda guerra mondiale, quando la tecnologia militare giapponese era di gran lunga superiore a quella italiana.

Le improbabili proposte fantascientifiche qui sopra – apparse su riviste di divulgazione tecnologica giapponesi del 1936 – danno un’idea di com’era già orientata la cultura popolare del paese quando in Italia si combatteva ancora la “Battaglia del grano”, perlopiù con falci e forconi…

di James Hansen

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