Mattarella promulga la legge sul voto ai diciottenni per il Senato

Un seggio elettorale durante le operazioni di voto per il Referendum Costituzionale sul taglio dei Parlamentari,
Un seggio elettorale durante le operazioni di voto per il Referendum Costituzionale sul taglio dei Parlamentari, Roma, 20 settembre 2020. ANSA/ANGELO CARCONI

ROMA. – Quasi quattro milioni di giovani da 18 ai 24 anni potranno finalmente votare anche per eleggere i senatori. Il presidente Sergio Mattarella ha promulgato la legge di riforma costituzionale che sin dalle prossime elezioni politiche metterà la parola fine ad una asimmetria sul voto delle due Camere della quale si discute da decenni.

Infatti fino ad oggi per il Senato possono votare solo i cittadini che abbiano compiuto i 25 anni, con effetti statisticamente dimostrati sulla diversa composizione politica tra l’Assemblea di palazzo Madama e quella di Montecitorio. Effetti che molti costituzionalisti indicano come una delle cause della maggiore difficoltà del Senato a trovare maggioranze efficaci.

La riforma potrebbe portare quindi una più marcata stabilità del quadro politico. Si tratta comunque di un nuovo enorme bacino di voti che entrerà in gioco per la formazione dei nuovi governi e che darà voce alla parte più dinamica del Paese inserendo orizzonti e prospettive di più lungo respiro nell’attività parlamentare.

Ma resta una mini-riforma che si inserisce – ma non dirime – in un dibattito più ampio, anche questo decennale, sulla necessità di superare il bicameralismo perfetto, cioè il sistema che in Italia prevede stesso ruolo e stesse funzioni alle due Camere.

Impossibile prevedere quali forze politiche potranno trarre maggior beneficio dall’irruzione giovanile sul Senato, ma molti analisti paventano il rischio che possa crescere l’astensionismo. Questo a causa dall’indebolimento delle ideologie e per l’insufficienza dell’educazione civica e politica nelle scuole italiane.

Basti ricordare come negli anni 80 circa l’80% dei giovani europei si dichiaravano politicamente ben orientati; ora lo sono appena il 30%; percentuale che crolla al 10% per l’adesione a partiti politici nella fascia 15-24 anni. Ma la discrepanza tra il voto della Camera e quello del Senato era da sanare e i dati lo confermano: in occasione delle ultime elezioni politiche del 4 marzo 2018, i cittadini chiamati alle urne per l’elezione della Camera dei deputati sono stati 46.600.000 circa, a fronte dei circa 42.900.000 chiamati a concorrere all’elezione del Senato, con un differenziale di oltre 3.700.000 elettori, pari a circa l’8% degli aventi diritto di voto per la Camera dei deputati.

Non pochi anche se secondo l’analisi delle elezioni del 2018 compiuta da Ipsos, il “primo voto” alla Camera, dei diciottenni, è andato per il 35% all’astensione mentre i giovani elettori non premiarono i partiti più strutturati. Se si osserva l’esito di quelle elezioni si nota, ad esempio, che alla Camera il Movimento 5 Stelle è andato meglio che al Senato.

Confrontando i risultati delle due Camere, emerge che se avessero votato solo i giovani (18-24 anni), il Movimento 5 Stelle non sarebbe stato solo il primo partito, ma avrebbe avuto gli stessi consensi di PD, Lega e Forza Italia sommati: con quasi il 38% delle preferenze e avrebbe avuto 5,7 punti in più del risultato ottenuto al Senato.

Stupisce infine che il Parlamento non abbia voluto affrontare una norma strettamente collegata e giudicata dai più ormai anacronistica: cioè il diritto di elettorato passivo che ancora pone il limite dei 40 anni per essere eletto senatore. Con la riforma promulgata oggi risulta straniante che i giovani dai 18 ai 24 anni possano votare ma solo per senatori più anziani di loro, anche di ben 22 anni.

Il mantenimento di una simile limitazione appare ingiustificata, quanto meno nella prospettiva dell’eguale composizione di Camera e Senato. E lo è ancora di più se si considera che dalle prossime elezioni per la prima volta si concretizzerà il taglio dei parlamentari che con la riforma costituzionale passeranno da 945 a 600 (i deputati diminuiscono da 630 a 400, i senatori da 315 a 200).

In molti hanno letto questa riluttanza del Parlamento ad abbassare anche la soglia di eleggibilità proprio a causa della drastica riduzione degli scranni. L’ipotetica concorrenza di candidati senatori giovani potrebbe rendere più difficile una eventuale rielezione.

(Di Fabrizio Finzi/ANSA)