Tempo e Spazio: Dall’antichità fino a Einstein e ripercussioni culturali nel ‘900 (V)

De Chirico- L'enigma dell'ora

Ciò che vi propone la rubrica Al Nord della Polare, è una serie de pubblicazioni, le quali argomentano inizialmente intorno ai due termini quali sono “Spazio e Tempo”. Questi, nel susseguirsi delle pubblicazioni saranno applicati allo studio dell’arte pittorica, in particolare allo sviluppo artistico del 900, del quale sappiamo protagonisti diversi movimenti artistici. Accenneremo al carattere di molti confrontando le motivazioni, ma in particolare si darà maggior protagonismo all’opera metafisica, e quindi, al più grande Maestro del 900 Italiano. Vi invitiamo a seguire la lettura con dedicata attenzione, in quanto porta con se le premesse per capire l’arte e lo sviluppo di questa nel 900.

IL SIGNIFICATO DELLA PAROLA “METAFISICA” E LE SUE RIVELAZIONI

Francesco Santoro

Per quanto riguarda il termine ‘metafisica’ una prima descrizione si può trovare in particolare nella ‘Nascita della tragedia’, dove Nietzsche, amico dell’enigma, già nella dedica a Wagner designa l’arte come attività metafisica dell’uomo, e dove pone più volte la tesi che l’esistenza del mondo si giustifica solamente come fenomeno estetico.

Friederick Nietzsche

Un secondo chiarimento della parola ‘metafisica’, viene dato a De Chirico da Wieninger nell’opera ‘Intorno alle cose supreme’ dove Weininger propone una metafisica come simbolistica universale, come definizione del profondo senso delle cose.

Otto Wieninger

Lo stesso De Chirico dopo numerose accuse che gli giungevano da più parti, in seguito ai malintesi sulla parola ‘metafisica’ ci riferisce: “La parola metafisica fece nascere un mucchio di malintesi specie in quelle menti stitiche che non avendo lo sforzo salutare della creazione, vivono di plagi e di luoghi comuni e spruzzano la loro bile cronica (…) la parola ‘metafisica’ fa nascere fosche visioni, di nuvaglie e grigiumi (…) In Francia il malinteso si estese fino ad attribuire l’invenzione ‘metafisica’ ai tedeschi, e ricordo le lotte che ebbi a sostenere per fare accettare il terribile vocabolo che insospettiva i più ben pensanti. (…) Ora io nella parola metafisica non ci vedo nulla di tenebroso; è la stessa tranquilla ed insensata bellezza della materia che mi appare ‘metafisica”. (…) La parola, scomponendola, potrebbe dare luogo ad un altro mastodontico malinteso: metafisica, dal greco “Tà metà ta fusikà” (dopo le cose fisiche) farebbe pensare a quelle cose che trovansi dopo le cose fisiche e che debbano costruire una specie di vuoto nirvanico. Pura imbecillità se si pensa che nello spazio la distanza non esiste e che un inspiegabile stato ‘X’ può trovarsi tanto al di là da un oggetto dipinto, descritto, o immaginato quanto di qua anzitutto (e precisamente ciò che accade nella mia arte) nell’oggetto stesso …”.

L’incertezza del Poeta – Giorgio De Chirico
Interno Metafisico con officina- G. de Chirico

Già in queste poche righe si avverte quanto De Chirico sia opposto al suo mondo contemporaneo con il quale nasceranno contrasti e delusioni che molto presto lo porteranno a rompere del tutto, il già precario rapporto con l’esterno e a chiudersi completamente in quella torre fortificata, dove in solitudine elabora quella pittura definita appunto metafisica. Pittura in cui compaiono piazze assolate, tagliate da lunghe ombre, popolate da stranissimi personaggi immobilizzati in un solo gesto, o presentante nel massimo della loro vuotezza colmano di enigmatico mistero gli oggetti circondati di solitudine, dove tutto sembra bloccato, sospeso, tranquillo e pur drammatico, inquietante. Pittura questa, metafisica, con cui De Chirico sorprenderà il mondo contemporaneo, in quanto è una pittura che nasce in opposizione ai valori borghesi dell’occidente moderno, recupera quelli antichi per contrapporsi e ‘ridicolizzare’; e qui, il senso ironico, i suoi contemporanei. Pittura di sapore classico dunque, che nonostante si sviluppa su valori opposti a quelli del tempo presente, interessò i critici che interpretarono più o meno intelligentemente questa pittura nuova fra le nuove definendola rara e misteriosa.

Arthur Schopenhauer
Edgard Degas – Ballet – l’étoile (1876)

Ma torniamo alla definizione di ciò che s’intende per metafisica; Schopenhauer in “Pazzia e arte” ci da la descrizione di quello che si può definire un momento metafisico, egli definisce pazzo l’uomo che ha perduto la memoria. Definizione più che giusta, infatti ciò che costituisce la logica dei nostri atti normali e della normale nostra vita è un rosario continuo di ricordi, dei rapporti tra le cose e noi, e viceversa. Eccone un esempio: “…io entro in una stanza, vedo un uomo seduto sopra una seggiola, dal soffitto vedo pendere una gabbia con dentro un canarino, sul muro scorgo dei quadri, in una biblioteca dei libri; tutto ciò che mi colpisce non mi stupisce poiché la collana dei ricordi che si allacciano l’uno all’altro mi spiega la logica di ciò che vedo; ma ammettiamo che per un momento, o per cause inspiegabili ed indipendenti dalla mia volontà si spezzi il filo di tale collana, chissà come vedrei l’uomo seduto, la gabbia, i quadri la biblioteca, chissà allora quale stupore o quale terrore, e forse anche quale dolcezza e quale consolazione proverei io mirando quella scena. La scena però non sarebbe cambiata, sono io che la vedrei sotto un’altro angolo, ecco l’aspetto “metafisico” delle cose.” Si può concludere, continua De Chirico che “…ogni cosa ha due aspetti: uno corrente, l’altro spettrale o metafisico, che non possono vedere che rari individui in momenti di chiaroveggenza e di astrazione metafisica, così come certi corpi occultati da materia impenetrabile ai raggi solari, non possono apparire che sotto la potenza di luci artificiali quali sarebbero i raggi ‘X’…”. I diversi aggettivi che hanno tentato una definizione della pittura metafisica, sono una chiara testimonianza di come questa pittura nonostante la semplicità delle immagini, abbia da una parte spiazzato alcuni critici del suo tempo, e da qui, i tentativi di demolirla con definizioni volutamente spregevoli, dall’altra parte, ha attratto l’interesse di critici e uomini di valore come Apollinaire.

Guillaume Apollinaire

Letteraria, scenografica, filosofica, quest’ultima definizione più accorta meglio qualifica il carattere delle opere metafisiche e del suo autore. De Chirico stesso in un suo scritto ci rivela come il meccanismo del suo pensiero sia strettamente legato all’immagine, e come questo sia la principale espressione del pensiero umano. In lui la visione istantanea evita ogni mediazione verbale, le poche espressioni verbali non sono concetti o discorsi che si addizionano per spiegare la propria opera (come taluni fanno) ma sono espressioni di sapore ermetico fondati sull’accostamento inconsueto di oggetti e forme dalle quali scaturisce una suggestione magica come risultato della coesistenza di questi nello spazio. Opere che oscillano tra la realtà oggettiva del mondo classico come le sue arcate, statue, castelli e torri, e la realtà oggettiva del mondo moderno, stazioni, officine, torri, grattacieli, biscotti. Uno spazio pittorico che inquadrando nello stesso schermo mentale l’antico e il moderno, annulla la distanza la rottura. Piazze assolate che improvvisamente si adombrano nei tagli netti e sghembi, scatole enigmatiche, squadre, bottiglie, guanti, oggetti circondati di solitudine, incanto, tristezza ed ironia. Opere che sono cariche di tempo, di secoli di ore infinite, di un tempo che custodisce l’enigma e l’origine dello stesso.

Il Grande Inquisitore – Giorgio de Chirico

Opere in cui il tempo riversandosi su se stesso permette al passato di essere contemporaneo al presente, facendo si che un treno a vapore sia contemporaneo allo spazio del tempo di Ortene.

Tutto appare bloccato, sospeso, quieto e pure si respira aria di dramma, di magico che trasforma gli aspetti e la dimensione del reale creando atmosfere mai viste, o, ed è lo stesso, come viste cento volte, per cui familiari. Ecco dunque la capacità di De Chirico di trasformare secondo il modulo della rivelazione, la vita. Anche se noi ci occuperemo della prima in particolare e cioè quella che determinò la visione metafisica, la vicenda artistica di De Chirico appare polarizzata intorno a quei due momenti cruciali, in cui De Chirico ha le rivelazioni.

Il primo ‘momento’ è appunto quello della scoperta della metafisica del 1910, applaudita dalla critica non trova, in prima istanza, un grande favore di pubblico. Il secondo momento posteriore al ‘19, discusso dalla critica, trova invece radici immediate nel pubblico. Le due circostanze da lui riferite descrivono un momento in cui, sia nel primo che nel secondo, acquista improvvisamente conoscenza di una realtà che, disordinatamente sedimentava in lui, senza che egli l’avvertisse.

De Chirico- Enigma di un pomeriggio d’autunno

 

Piazza Santa Croce – Firenze

Agli inizi della pittura metafisica De Chirico scrive nelle ‘Memorie’:

“…dipingevo qualche volta quadri di piccole dimensioni; il periodo bockliniano era passato ed avevo cominciato a dipingere soggetti ove cercavo di esprimere quel forte e misterioso sentimento che avevo scoperto nei libri di Nietzsche: la malinconia delle belle giornate d’autunno, di pomeriggio, nelle città italiane…”. Più dettagliatamente scrive nel 1912: “Lasciatemi raccontare come ebbi la rivelazione di un dipinto, che presenterò quest’anno al Salone d’Autunno, intitolato ‘Enigma di un pomeriggio d’autunno’. In un limpido pomeriggio autunnale ero seduto su una panca al centro di piazza Santa Croce a Firenze. Naturalmente non era la prima volta che vedevo quella piazza: ero appena uscito da una lunga e dolorosa malattia intestinale ed ero quasi in uno stato di morbida sensibilità. Tutto il mondo che mi circondava, finanche il marmo degli edifici e delle fontane, mi sembrava convalescente. Al centro della piazza si erge una statua di Dante, vestita di una lunga tunica, il quale tiene le sue opere strette al proprio corpo ed il capo coronato d’alloro pensosamente reclinato… il sole autunnale, caldo e forte, rischiarava la statua e la facciata della chiesa. Allora ebbi la strana impressione di guardare quelle cose per la prima volta, e la composizione del dipinto si rivelò all’occhio della mia mente…”.