Omicron, che cosa sappiamo e quali le incognite

Particelle del virus SarsCoV2 (in violetto) sulla superficie di una cellula (fonte: NIAID)
Particelle del virus SarsCoV2 (in violetto) sulla superficie di una cellula (fonte: NIAID)

ROMA. – Al di là di pochi dati certi sulla Omicron, ci sono domande fondamentali su questa variante del virus SarsCoV2 che non hanno ancora risposte, come quelle relative alla sua capacità di sfuggire ai vaccini e di provocare o meno una forma grave della malattia.

Identificata per la prima volta un mese fa, il 22 novembre 2021 nei laboratori di Botswana e Sud Africa che stavano analizzando campioni del virus prelevati fra l’11 e il 16 novembre, la variante si è rapidamente imposta all’attenzione di tutto il mondo. Il 24 novembre, infatti, il Sud Africa la segnalava all’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), che già il 28 novembre parlava di una “corsa contro il tempo” per riuscire ad arginarla.

Al momento sappiamo che sono 78 i Paesi nei quali è presente e che in un mese sono state oltre 19.100 le sequenze genetiche della Omicron depositate nella banca dati internazionale Gisaid. Sappiamo inoltre che la nuova variante sta diventando prevalente in alcuni Paesi: attualmente sono almeno 15 quelli in cui la Omicron è presente nella maggior parte delle sequenze genetiche depositate; in sei di questi Paesi la Omicron ha già raggiunto il 100% delle sequenze, sostituendosi alla Delta.

E’ chiaro inoltre che la variante ha un’elevata capacità di infettare, fra 3 e 7 volte più alta rispetto alla variante Delta. Ed è anche noto che la Omicron comprende 32 mutazioni e un’elevata capacità di infettare Spike, che il virus utilizza come un artiglio per aggredire le cellule. “Di queste mutazioni, circa un quarto erano note in quanto presenti anche nella variante Delta e tre quarti sono del tutto nuove”, osserva il genetista Massimo Zollo, dell’Università Federico II di Napoli e coordinatore della Task force Covid-19 del Ceinge-Biotecnologie avanzate.

Fra le cose che non conosciamo ancora della nuova variante c’è il ruolo delle mutazioni presenti nelle regioni genoma diverse da quella della proteina Spike che si solito viene considerata e che, rileva Zollo, “costituisce appena il 2% del genoma del virus”. Sapere come sono mutate le altre regioni del virus potrebbe fornire, per esempio, informazioni importanti per la ricerca su nuovi farmaci e vaccini.

Quanto ai vaccini, un’altra grande domanda riguarda la loro capacità di contrastare la Omicron. Molti studi sono in corso e i dati preliminari ad ora disponibili sembrano indicare che i contagi non vengono evitati. Resta da capire poi se e quanto la terza dose del vaccino sia in grado di bloccare la Omicron e in proposito non ci sono dati sufficienti per trarre delle conclusioni.

Ci si domanda anche quanto tempo è necessario alla Omicron per replicarsi, ossia ogni quanto tempo i casi provocati da questa variante raddoppiano, e al momento l’ipotesi prevalente indica da 2 a 3 giorni. Nessun dato definitivo nemmeno sulla rapidità con la quale la variante infetta la cellula umana e resta da chiarire, infine, se e quante persone già colpite da altre varianti possono reinfettarsi.

(di Enrica Battifoglia/ANSA)