La sesta estinzione di massa corre, in 500 anni perse 200mila specie

Vietata la pesca dei ricci di mare, in via d'estinzione, in Sardegna.
Vietata la pesca dei ricci di mare, in via d'estinzione, in Sardegna.

ROMA. – La sesta estinzione di massa corre veloce: 200mila specie, delle circa 2 milioni note finora, sarebbero scomparse in appena 500 anni. A stimare circa il 10% la perdita di biodiversità in pochi secoli è uno studio coordinato dall’università delle Hawaii e il Museo di storia naturale di Parigi e pubblicato su Biological Reviews che ha analizzato in particolare la perdita delle popolazioni di molluschi confermando una tendenza già osservata da molti gruppi di ricerca.

Ciclicamente il pianeta Terra ha conosciuto fasi in cui un gran numero delle specie esistenti fino a quel momento è rapidamente declinato fino a scomparire. Cinque sono le grandi estinzioni ben osservabili analizzando i resti fossili ritrovati in giro per il globo, dalla prima avvenuta circa 450 milioni di anni fa che in due ‘ondate’ spazzò via circa l’85% di tutte le specie viventi degli oceani fino all’ultima nel Cretaceo-Paleocene, circa 70 milioni di anni fa che vide l’estinzione di molti viventi tra cui i dinosauri.

Si tratta di grandi eventi, intervallati anche da estinzioni minori, in cui si è registrata una perdita di specie molto più alta rispetto allo ‘standard’, generalmente 100 o 1.000 volte più alta del normale. Si tratta di fenomeni rapidi e improvvisi su scale geologiche ma non se paragonati su scale umane, la perdita di quelle specie è concentrata infatti in ‘istanti’ che hanno la durata di centinai di migliaia di anni o milioni e le cause sono spesso un insieme di fattori concomitanti, non un singolo evento.

Alle 5 grandi estinzioni registrate nel passato sembrerebbe che se stia aggiungendo una sesta, in atto proprio in questi secoli il cui responsabile sarebbe la specie umana e le trasformazioni che le sue attività hanno imposto sull’intero pianeta. Ad averne fatto le spese finora sono state certamente moltissime specie, tra le più note ci sono il Dodo o la megafauna dell’antichità, e tante sono a rischio oggi: dai rinoceronti ai furetti americani.

Misurare però concretamente queste perdite non è facile ma molti studi ci hanno provato in questi anni, tra gli ultimi quello pubblicato sulla rivista dell’Accademia americana delle scienze (Pnas) nel 2017 dai biologi dell’Universita’ di Stanford che ha osservato come oltre il 30% delle specie di vertebrati si sta riducendo per numero di individui ed espansione geografica.

Una nuova misura arriva ora dai ricercatori dell’università delle Hawaii e del Museo di storia naturale di Parigi che focalizzandosi sui molluschi, specie meno ‘attrattive’ e più difficili da osservare. Il quadro che ne emerge è ancor più drammatico: a partire dal 1500 si stima che delle quasi 2 milioni di specie viventi conosciute siano scomparse tra le 150mila e le 260mila (tra il 7,5 e il 13% del totale). Purtroppo, sul tema esistono molti ‘negazionisti’ – aggiungono i ricercatori – oppure tesi che sostengono che il cambiamento in atto vada interpretato come una sorta di ‘correzione’ degli ecosistemi ad opera dell’uomo.

“Negare la crisi, accettarla senza reagire, o addirittura incoraggiarla – conclude Cowie, primo autore dello studio – costituisce un’abrogazione della responsabilità comune dell’umanità e apre la strada nel continuare in questa triste traiettoria verso una sesta estinzione di massa”.

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