L’11% lavoratori è povero, Orlando: non stare fermi

Un gruppo di metalmeccanici entra in fabbrica, visti di spalle. Jobs Act
Lavoratori del settore metalmeccanico entrano in uno stabilimento. (ANSA)

ROMA.  – Una strategia nuova per affrontare la piaga del lavoro povero che in Italia riguarda l’11,8% dei lavoratori. In pratica oltre un lavoratore su dieci, secondo l’ultimo dato Eurostat riferito al 2019, pur percependo un reddito è in una condizione di povertà, ovvero vive in una famiglia con un reddito netto inferiore al 60% della mediana a fronte del 9,2% dell’Ue a 28.

Alcune proposte per ridurre questo fenomeno sono contenute in uno studio del Gruppo di lavoro sulla povertà lavorativa insediato dal ministro del Lavoro, Andrea Orlando, a partire dalla sperimentazione del salario minimo in alcuni settori mentre prosegue il dibattito a livello politico e sindacale. Orlando presentando la ricerca ha sottolineato che si tratta di numeri “imponenti” e che non si può stare fermi davanti a dati che con la pandemia sicuramente non sono migliorati.

“Dire che da un lato non si vuole nessun intervento sulla rappresentanza e dall’altro che non si vuole nessun intervento sul salario minimo – dice Orlando – ci condanna a uno stallo che produrrà nel tempo una accentuazione di questo fenomeno perché noi non sappiamo quanto si sia accentuato il fenomeno durante la pandemia ma sicuramente non è migliorato”.

La percentuale dei lavoratori poveri è cresciuta in modo consistente dal 2012 quando era all’8,7% fino al 2017 quando era al 12,2% per poi scendere nel 2019 all’11,8% ma il dato probabilmente con la pandemia è peggiorato.  La Commissione sottolinea che bisogna incidere sulle ragioni per le quali si ha un reddito basso che non sono solo legate alla bassa retribuzione oraria ma anche alla durata del lavoro (quante ore si lavora durante la settimana, quante settimane nell’anno) spesso precario, al part time involontario e alle scarse competenze sulle quali agire con la formazione.

Ma bisogna guardare anche alla composizione familiare (e in particolare quante persone percepiscono un reddito all’interno del nucleo) e al ruolo redistributivo dello Stato.

“Una strategia di lotta alla povertà lavorativa – afferma la Commissione – richiede quindi una molteplicità di strumenti per sostenere i redditi individuali, aumentare il numero di percettori di reddito, e assicurare un sistema redistributivo ben mirato”.

Per garantire minimi salariali adeguati, secondo gli esperti, bisogna estendere i contratti collettivi principali a tutti i lavoratori oppure introdurre un salario minimo per legge. Una terza opzione che anche secondo Orlando può essere considerata “una strada” prevede una sperimentazione di un salario minimo per legge o di griglie salariali basate sui contratti collettivi in un numero limitato di settori. Questo potrebbe dare una prima risposta in quei settori in cui la situazione è più urgente.

Tra le politiche redistributive il Gruppo di lavoro propone Di introdurre invece un in-work benefit. In Italia, infatti, solo il 50% dei lavoratori poveri percepisce una qualche prestazione di sostegno al reddito rispetto al 65% in media europea.

Dovrebbe essere, secondo gli esperti del ministero,  uno strumento unico, di facile accesso e coerente con il resto del sistema (in particolare, Reddito di Cittadinanza, ma anche il nuovo Assegno Unico e Universale per i Figli).

Sulla base delle esperienze internazionali, il trasferimento dovrebbe essere definito a livello individuale per non disincentivare il lavoro del secondo percettore. La discussione sulla riforma fiscale – sottolinea lo studio – “rappresenta il luogo ideale per il disegno preciso di questo tipo di strumento”.