Gianni Morandi: “A Sanremo con l’entusiasmo di un debuttante”

Gianni Morandi in una foto d'archivio
Gianni Morandi in una foto d'archivio. ANSA/ETTORE FERRARI

ROMA. – Il festival di Sanremo Gianni Morandi lo ha vissuto da artista in gara, solo e in gruppo, da ospite, da conduttore. Lo ha vinto. Lo ha amato e continua ad amarlo profondamente. Tanto da tornarci ancora una volta. “In gara, ovviamente. Perché è più divertente, più stimolante. Lo vivi di più.

E’ un palco straordinario, che mi fa tornare bambino. A quando nel ’58 vidi per la prima volta Modugno con Volare. In 64 anni non ho mai smesso di guardarlo: sono un esperto”, racconta collegato dal teatro Duse di Bologna, dove si sta preparando per riprendere da stasera un discorso (musicale) che si era interrotto quasi due anni fa a causa della pandemia: sei date in programma fino al 17 febbraio. “E poi chissà, vedremo quale è la risposta del pubblico”.

Due anni di stop che hanno significato tanto anche per Morandi a livello personale. “La pandemia ci ha fatto riflettere molto, a me poi, a marzo scorso, è capitato anche l’incidente che mi ha costretto 27 giorni in ospedale e di cui porto ancora i segni. Meno male che me la sono cavata, ma un po’ mi ha cambiato.

Forse proprio da lì è ripartito tutto. Non so se senza incidente oggi sarei a Sanremo”, ammette mostrando la mano destra ancora protetta dal tutore (quel tutore birichino che gli stava per costare la squalifica, dopo la pubblicazione sui social per errore e difficoltà nei movimenti di alcuni secondi del brano).

Già, perché complici la voglia di non mollare mai e una telefonata di Jovanotti per sapere delle condizioni del collega, hanno portato prima al singolo estivo L’Allegria (“quasi una terapia per me”) e poi ad una collaborazione che è andata avanti e che ha condotto ad un nuovo brano scritto sempre da Lorenzo Cherubini (intervenuto in videochiamata durante l’incontro) e all’idea di portarlo al festival.

“Una sorta di scossa, di emozione, la voglia di ributtarsi nella mischia. ‘Apri tutte le porte’ è una canzone di speranza che risente della situazione attuale ma con una bella carica. Non è che io possa mandare chissà che messaggi, però spero che piaccia e di divertire”, aggiunge Morandi non nascondendo un certo timore reverenziale nei confronti dell’Ariston.

“Vivo Sanremo con l’entusiasmo di un debuttante, e anche con le stesse paure: la tremarella e le mani che sudano possono venire anche a uno con la mia esperienza. Già ora mi sento agitato, anche perché la canzone con tutte la parole ‘incastrate’ come fa Lorenzo che è un rapper non è facile da cantare. Conto su mia moglie che mi darà uno spintone nel dietro le quinte”, scherza spiegando anche che ad accomunarlo a Jovanotti sono “lo sport (lui la bici, io la corsa), la voglia di sperimentare sempre cose nuove, e la positività”.

Il brano è prodotto dal musicista tedesco di origine turca Mousse T, che sarà al fianco di Morandi anche all’Ariston, come direttore d’orchestra, e che ha dato ad Apri tutte le porte un retrogusto soul, stile Motown. “Quando ho saputo che non stava bene – racconta Jova, in videochiamata e ancora con la coda lunga del covid da smaltire – l’ho chiamato. In queste situazioni sapere che qualcuno ti sta pensando fa bene.

Non era il Gianni che avrei voluto ascoltare, era un po’ abbattuto e per questo gli ho mandato L’Allegria. Quando mi ha parlato di Sanremo sono stato contento: avevo una bozza e mi sono messo al lavoro. Mi piace lavorare su commissione. Come con Gabriele Muccino”.

In gara, l’eterno ragazzo troverà l’eterno rivale Massimo Ranieri. “L’Italia da sempre è fatta di dualismi… Coppi e Bartali, Del Piero-Baggio. Anche io e Massimo eravamo così, ma alla fine siamo diventati amici. Al Bano ha detto di essere invidioso di non esserci? Eh, prima o poi faremo quel tour a tre di cui parliamo da tanto: il bolognese, il napoletano e il pugliese”.

Intanto a Sanremo tornano le vecchie glorie, ma anche i giovanissimi. “Il festival è cambiato. Oggi tutti si rendono conto che è un palco straordinario. Mi ricordo quando da conduttore quasi mi inginocchiai davanti a Roberto Vecchioni per convincerlo a venire. Ho costretto persino Lucio Dalla con Pier Davide Carone, e Franco Battiato. Prima si pensava che se il festival andava male era un dramma, al giorno d’oggi anche arrivare ultimi è solo un episodio che non ti cambia la carriera”.

(di Claudia Fascia/ANSA)