L’addio di Mattarella al Csm, restano i vertici della Cassazione

Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il Primo Presidente della Cassazione, Pietro Curzio (D), in Cassazione durante la cerimonia per l'apertura dell'anno giudiziario 2021, Roma, 29 gennaio 2021.
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e il Primo Presidente della Cassazione, Pietro Curzio (D), in Cassazione durante la cerimonia per l'apertura dell'anno giudiziario 2021, Roma, 29 gennaio 2021. (Paolo Giandotti - Ufficio per la Stampa e la Comunicazione della Presidenza della Repubblica)

ROMA. – A meno di una settimana dalla pronuncia del Consiglio di Stato che ha decapitato la Cassazione, il Csm rimette in sella gli stessi vertici bocciati dalla giustizia amministrativa. E dunque rinomina Pietro Curzio primo presidente e Margherita Cassano presidente aggiunto della Suprema Corte, “salvando” anche la cerimonia di domani di inaugurazione dell’anno giudiziario in Cassazione, alla presenza delle più alte cariche dello Stato.

Nessuna sfida, né scontro con Palazzo Spada, sostengono i consiglieri che a maggioranza danno il via libera alla conferma dei due magistrati, stavolta più ristretta di quella che sostenne le nomine nel 2020. Allora si sfiorò l’unanimità, con un solo consigliere astenuto. Stavolta i voti favorevoli sono 19, 3 si astengono e altri 3 votano contro. E accusano i colleghi di aver aggirato la sentenza del massimo organo della giustizia amministrativa con una decisione che non risponde ai rilievi mossi.

A presiedere la seduta è Sergio Mattarella. E’ l’ultima volta, visto che da lunedì comincerà il voto per il nuovo presidente della Repubblica ed è lui stesso a ricordarlo, esprimendo gli auguri a tutti i componenti “per l’attività che il Consiglio svolgerà con la presidenza di un nuovo Capo dello Stato”.

Un modo forse per sottolineare ancora una volta a chi insiste perchè resti al Quirinale che non ci sono margini. A lui il grazie del vicepresidente David Ermini: “Per me e il Consiglio – ha detto – lei è stato in questi anni guida saggia e autorevole, esempio di etica istituzionale e fermo sostegno nei frangenti più amari”.

La presenza di Mattarella al Csm, anche in questa occasione di addio, non è puramente simbolica. Si complimenta con i magistrati confermati e soprattutto ringrazia il plenum e la Commissione Direttivi per la “tempestività” con cui hanno deciso “assicurando la piena operatività dell’esercizio delle funzioni di rilievo per l’ordinamento giudiziario”.

Parole che sembrano una risposta a chi invece ha contestato oltre al merito della scelta la fretta con cui il Csm è intervenuto. Come il laico della Lega Stefano Cavanna che nel 2020 fu l’unico ad astenersi sulla nomina di Curzio e Cassano e che stavolta vota contro assieme ai togati indipendenti Sebastiano Ardita e Nino Di Matteo, mentre si astiene tutto il gruppo di Unicost.

Si è discusso e deliberato in soli “4 giorni, domenica compresa”, tempi non compatibili con nessun tipo di nomina, a maggior ragione così importanti, lamenta il consigliere che con Ardita contesta anche i contenuti della nuova delibera: motivazioni che ripropongono le stesse argomentazioni di due anni fa e che, peggio, non rispondono ai rilievi del Consiglio di Stato.

La maggioranza difende la sua scelta. I tempi sono stati così stretti perché non si potevano lasciare scoperte “funzioni cruciali” e per assicurare la presenza di Curzio alla cerimonia di inaugurazione dell’anno giudiziario, come spiegano il presidente della Commissione Direttivi Antonio D’Amato e il laico dei 5S Filippo Donati. Ma soprattutto, ripetono in tanti, “non è stata disattesa” la pronuncia del Consiglio di Stato.

“Sbagliato” parlare di “scontro tra poteri o di schiaffi tra le istituzioni” dice la consigliera di Area Alessandra Dal Moro, che però invita il giudice amministrativo a non “sostituirsi al Consiglio nelle scelte di merito da adottare”, soprattutto in un momento di “crisi di autorevolezza” di Palazzo dei marescialli. Crisi su cui si sofferma il vice presidente David Ermini, che parla di profonda “perdita di credibilità” e sottolinea la necessità indifferibile delle riforme.

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