Monito Fmi alla Cina: rischi globali da “zero-Covid”

La presidente dellla Bce Christine Lagarde.
La presidente dellla Bce Christine Lagarde. (ANSA/EPA)

ROMA.  – Doveva essere l’anno del boom post-pandemia. Invece il 2022 si presenta come l’anno  in cui le autorità finanziarie cammineranno sulle uova.

“Una corsa a ostacoli” lo definisce la direttrice generale del Fmi Kristalina Georgieva: che dà una stoccata alla linea “zero Covid” della Cina che sta avendo “un impatto drammatico” e invita la Fed ad andarci piano con la stretta monetaria visto il debito record in dollari delle economie emergenti.

L’occasione per fare il punto sulle principali economie globali è la giornata di chiusura del World Economic Forum, versione virtuale causa Covid (ma si tornerà in presenza a Davos il 22-26 maggio). La sessione dei lavori intitolata al ‘World Economic Outlook’ ogni anno cerca di anticipare cosa c’è da aspettarsi. E la frenata dell’economia cinese “è una preoccupazione per il resto del  mondo” perché ha un impatto globale, avverte la numero uno del Fmi.

La politica zero-Covid ha mostrato che è impossibile contenere varianti ad alta trasmissibilità come Omicron senza avere un “impatto drammatico”. E dunque “crea un rischio non solo per la Cina, ma anche per il suo ruolo nelle forniture verso il resto del mondo”.

Parole poco diplomatiche verso Pechino, dopo che Georgieva nei mesi scorsi aveva rischiato le dimissioni per le accuse (non supportate dal board del Fmi) di aver favorito la Cina quando era a capo della Banca mondiale. Monito anche alla Fed americana, che se esagera con la stretta monetaria rischia una “doccia fredda”  sui Paesi emergenti indebitati in dollari: due terzi dei paesi più poveri, il doppio che nel 2015, sono o rischiano di cadere in una situazione di “sofferenza sul debito”.

Ora il Fmi invita tutti a mantenere i nervi saldi: dopo due anni di politiche “tutt’altro che ortodosse”, servirà ancora un approccio  flessibile, spiega Georgieva. La ripresa c’è ma “sta perdendo vigore” e il 2022 rischia di essere costellato di “nuove ondate d’infezioni di Covid-19, cui si aggiunge un’inflazione molto più ostinata del previsto, e come se non bastasse ci sono livelli record di debito”. Serve cautela, dunque.

Janet Yellen, segretaria al Tesoro Usa, alla “Davos Virtuale” guarda più alla politica interna: ottimismo sulla crescita nonostante la pandemia, difesa del piano infrastrutturale di Biden e  acqua sul fuoco attizzato dai Repubblicani sull’inflazione. La presidente della Bce Christine Lagarde, invece, accoglie volentieri l’invito alla prudenza del Fmi. Lagarde ci sta andando coi piedi di piombo sull’addio a quasi un quindicennio di politiche ultra-espansive.

“Abbiamo avuto una lezione di umiltà, Bce, Fmi, Ocse e altri hanno sottostimato la ripresa, l’andamento del mercato del lavoro e, certo, l’inflazione”, dice Lagarde come a offrire una scusante per i cinque rialzi di fila delle stime d’inflazione di Francoforte. Da ultimo, a dicembre, le stime  davano una frenata all’1,8% nel 2023 e 2024, permettendo di fare argine alle pressioni crescenti dei ‘falchi’ per una stretta monetaria perché sono giusto al di sotto dell’obiettivo del 2%.

L’inflazione non va verso “una spirale fuori controllo” e in Europa non toccherà il 7% degli Usa, rassicura Lagarde. che però è costretta a una significativa concessione: “dovremo agire” se le stime di marzo soddisferanno i tre criteri della “forward guidance” sui tassi, e cioè un livello dei prezzi che raggiunga il 2% ben prima del 2024, ci resti stabilmente fino alla fine dell’orizzonte triennale e mostri progressi sufficienti nell’inflazione di fondo. Nessuno sa bene come la geopolítica del petrolio e le strozzature al commercio da Covid impatteranno sui prezzi, e la Bce rischia di trovarsi in un vicolo cieco.

(di Domenico Conti/ANSA).