Le donne laureate sono più brave, ma vengono pagate meno

L'astronauta Samantha Cristoforetti nella missione Futura. Tronerà sulla Stazione Spaziale nel 2022
L'astronauta Samantha Cristoforetti nella missione Futura. Tronerà sulla Stazione Spaziale nel 2022 (fonte: ESA/NASA)

BOLOGNA. – Si laureano prima, con voti più alti e spesso scegliendo strade che escano dal solco tracciato dai loro genitori. Ma per le donne la salita comincia dopo, con un mercato del lavoro che le occupa meno di quanto faccia con gli uomini, offrendo loro lavori più precari, meno posizioni apicali e stipendi più bassi. Nemmeno il Covid ha cambiato le carte in tavola, anzi ha acuito il divario, e la ripresa favorisce soprattutto gli uomini.

Sono le indicazioni principali emerse dal primo Rapporto tematico di genere realizzato dal Consorzio interuniversitario AlmaLaurea, presentato oggi a Bologna dalla direttrice Marina Timoteo alla presenza (video) della ministra dell’Università e della Ricerca Maria Cristina Messa.

Hanno aperto i lavori Giovanni Molari, rettore dell’Università di Bologna, e Ivano Dionigi, presidente di AlmaLaurea. Le donne, nel 2020, hanno rappresentato la maggioranza dei laureati: il 60%. Provengono da contesti familiari meno favoriti di quelli dei colleghi maschi: le laureate con almeno un genitore laureato sono il 28,3%, percentuale che sale al 34,3% tra gli uomini. Quelle con un genitore ‘dottore’, poi, solo nel 18,8% dei casi si laureano nel suo stesso campo, cosa che invece fa il 21,7% degli uomini.

Tra i libri, vincono di nuovo le donne: si laureano in corso il 60,2% contro il 55,7% degli uomini, e ai voti vincono 103,9 a 102,1. Ma non basta. Perché quando si tratta di andare a lavorare il tasso di occupazione dei laureati di primo livello a cinque anni dal titolo è dell’86% per le donne e del 92,4% per gli uomini, tra quelli di secondo livello del 85,2% e dell’91,2%.

E in presenza di figli il divario aumenta. La percentuale di uomini con un lavoro autonomo è più alta (11,6% a 7,5% tra i laureati di primo livello e 21,8% a 20,2% tra quelli di secondo livello) e lo stesso vale per quelli con un lavoro dipendente a tempo indeterminato (67,4% a 64,5% e 59,1% a 52,2%). Il 17% delle donne con laurea di primo livello e il 18,9% di quelle con laurea di secondo livello ha contratti non standard, per lo più a termine, contro il 12,2% e l’11,5% degli uomini: questo anche perché sono occupate, più degli uomini, nel settore pubblico i cui tempi di stabilizzazione in diversi ambiti (soprattutto insegnamento) sono più lunghi.

Passando alle retribuzioni, a cinque anni dalla laurea la forbice premia gli uomini che incassano stipendi del 20% più alti: 1.651 euro contro 1.374 al mese per i laureati di primo livello, 1.713 a 1.438 per quelli di secondo. Solo il 2,2% delle donne arriva, a cinque anni dalla laurea, a ruoli di alto livello (imprenditoriale o dirigenziale), mentre per gli uomini l’incidenza quasi raddoppia (3,9%).

Pure la ripresa ha premiato gli uomini: nel quarto trimestre 2021, le richieste di curriculum sono state quasi 193mila per i laureati e quasi 152mila per le laureate. Dati che Messa commenta evidenziando la “minore valorizzazione delle donne sul mercato del lavoro”. Ed è “un dato su cui solo interventi di sistema che, come governo, abbiamo messo in cantiere, potranno realmente incidere”.

Qualche segnale incoraggiante c’è: “Il fatto che i divari tra laureate e laureati in materie Stem siano più contenuti è sicuramente un segno positivo e la prova che le misure che stiamo adottando, dall’orientamento verso le materie scientifiche al supporto con quote premiali per le borse di studio in favore delle ragazze che scelgono questi percorsi di studio, ci stanno indirizzando sulla strada giusta”.

Duro Dionigi: “Il rapporto conferma il primato delle laureate nella formazione e al contempo la loro mortificazione nella condizione occupazionale. Questa contraddizione, che testimonia una cultura arretrata della società, priva le donne di un loro diritto e il Paese di quel che di più specifico esse possono apportare. Politica, impresa e università hanno il dovere di invertire questa rotta e colmare questo divario”.

(di Riccardo Rimondi/ANSA)