Italiani a Kiev: “Rischio c’è ma la vita è qui”

Gente per strada a Kiev, davanti l'ambascita russa. ANSA/AFP/ Sergei SUPINSKY /

KIEV.  – “Qui tutto come al solito. Sì, non ti preoccupare”. Fabio Doria chiude la telefonata, l’ennesima, che arriva dall’Italia. Sono amici e parenti che guardano le ultime notizie in arrivo dall’Ucraina e si spaventano per lui, titolare di Italian Delicacies, che importa olio extra vergine d’oliva dalla Toscana ai ristoranti di Kiev.

“Prima mia madre mi chiamava per il Covid. Ora lo ha messo da parte e mi chiede solo della guerra”, spiega all’ANSA dopo aver poggiato il cellulare sul tavolo del ristorante ‘Il Siciliano’ e ripreso a mangiare le sue penne al ragù.

Originario della Calabria, Doria vive da anni a Kiev con una compagna ucraina e, come tanti altri italiani, ad andarsene non ci pensa proprio. “La paura c’è, la tensione esiste, ma qui noi viviamo quasi nella totale normalità. Certo, se si mantiene questa incertezza a lungo di sicuro ci saranno dei problemi, non solo per il mio lavoro ma per tutte le attività economiche. Ma se ci fosse una guerra, sarebbe un macello per tutti, anche in Italia, e non solo in Ucraina. Senza gli Usa e senza la Russia – taglia corto – il mondo sarebbe un posto migliore”.

“L’Ucraina è tra l’incudine e il martello, vediamo che succede quando finiranno le Olimpiadi”, concorda Michele Lacentra, il cuoco che di “siciliano” non ha nulla: lucano trapiantato in Veneto, vive anche lui a Kiev da oltre 6 anni e si sente “integrato”. Siciliani sono i proprietari del locale, aperto un paio di mesi fa, in un quartiere appena fuori dal centro, vicino alla stazione, tra banche e uffici, “una zona tranquilla”.

“Il ristorante è aperto 7 giorni su 7 e la vita continua regolarmente”, racconta lo chef che attorno a sé e ai suoi piatti, rigorosamente della tradizione italiana, raduna “una piccola comunità di amici italiani”: “Oggi sono stati qui a mangiare, altri verranno nel pomeriggio. Vivono e lavorano qui da anni e non hanno intenzione di andar via”.

Perché quando la vita è radicata da anni, con una famiglia, un lavoro, dei figli, non è facile smontare tutto e tornare in Italia, dove forse rimane ben poco di quanto si è lasciato. Eleonora Trivigno, nata a Matera, vive a Kiev dal 2002, con un marito ucraino e un figlio tredicenne che parla quattro lingue.

“Abbiamo deciso di non seguire il consiglio della Farnesina di lasciare il Paese – spiega – così come la maggioranza degli italiani”. Sono circa 1.500 i connazionali registrati all’Aire, ma si stima che in tutto siano almeno il doppio.

“Il rischio esiste”, sottolinea Trivigno che cura i rapporti commerciali con l’Italia di un’azienda ucraina. Ma “nonostante la minaccia, l’anomalia di cui siamo ostaggio da 8 anni, nessuno è disposto a rinunciare alla vita quotidiana, tutti i giorni si portano i bambini a scuola, si va al lavoro”, aggiunge l’italiana. Che le ultime notizie che arrivano dal Donbass “siano l’inizio di qualcosa, è difficile dirlo: giorni fa si parlava di ritiro delle truppe, oggi di bombardamenti. Ma col tempo – conclude – abbiamo tutti imparato che Putin sa essere imprevedibile”.

(dell’inviata Laurence Figà-Talamanca/ANSA).

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