Profughi ucraini a Castel Gandolfo: “Rivogliamo nostre vite”

Una veduta esterna dell'hub vaccinale alla Stazione Termini, Roma 1 Agosto 2021.
Una veduta esterna dell'hub vaccinale alla Stazione Termini, Roma 1 Agosto 2021. ANSA/GIUSEPPE LAMI

ROMA. – Il 24 febbraio padre Oreste, parroco del piccolo monastero ucraino che sta a Castel Gandolfo, non ci ha pensato due volte: ha rimesso a posto il suo furgoncino ed è partito per il confine tra Polonia e Ucraina. “Avevo dei contatti di alcune persone che volevano venire in Italia – racconta il sacerdote all’ANSA -, ma sono andato lì per prendere chiunque avesse bisogno. Quando è scoppiata la guerra ho pensato solo che era mio dovere aiutare”.

Da allora Lesia Vusyk, braccio destro di padre Oreste, ha il telefono bollente con richieste e offerte di aiuto. “Non riesco più a prendere le telefonate, mi chiamano italiani e ucraini che vogliono portare aiuti o che sono disposti ad accogliere famiglie”, racconta la donna.

Tantissimi ucraini che scappano verso l’Italia hanno già parenti o amici che vivono qua, il monastero sta accogliendo chi arriva senza avere una meta. “Siamo attrezzati per accogliere 40 persone – spiega Lesia -, l’aiuto dei cittadini è incredibile. Ieri sera dopo una giornata concitata alcune maestre di Ciampino sono venute a portarci la cena”.

Per il momento sono nove le persone accolte, tutte donne e bambine ed un ragazzo. Margo e Katerina sono madre e figlia di Odessa arrivate a Roma in aereo il 23 febbraio, avevano un incontro di lavoro per aprire un’attività turistica tra Italia e Ucraina, mai tempismo fu tanto sbagliato. “Ci siamo svegliate il 24 con la guerra, i nostri amici che erano in pericolo – spiega Margo – avevamo il biglietto di ritorno il 28 febbraio ma non siamo riuscite a partire”.

Katerina mentre sta imparando a preparare il caffè con la macchina dell’espresso racconta: “Volevamo tanto venire a Roma, Margo il 27 compiva vent’anni e pensavamo sarebbe stato bellissimo festeggiare il suo compleanno qui. Invece è stato il compleanno più brutto della sua vita”. Ora le due donne stanno provando ad organizzare il viaggio in Italia per la nonna che ha 73 anni e non cammina molto bene. La sorella maggiore invece con la sua compagna è già riuscita a mettersi in salvo in Moldavia.

La guerra è anche separazione come racconta Luba di Ivano Frankivsk che voleva solo portare la figlia per poi tornare dal marito e dal fratello, ma alla fine è rimasta con lei. “I nostri uomini, mio marito e mio fratello – dice guardando dritto – stanno combattendo non solo per l’Ucraina ma per tutta Europa”.

Irina è venuta da Leopoli con la madre, come molti profughi, ha il senso di colpa di essere al sicuro Italia ma non smette di lavorare per il suo paese organizzando trasporti di medicine tramite una rete di amici in tutta Europa. Anche lei non capisce questa guerra: “I russi vengono da noi con l’idea che devono salvarci dai nazisti, ma è falso. Abbiamo un presidente eletto di cui siamo orgogliosi. Noi non vogliamo i territori di nessuno, le vite di nessuno. Noi vogliamo solo il nostro Paese e le nostre vite”.

(di Cecilia Ferrara/ANSA)

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