Silvia Rosato (Comites Polonia): “Impegnati ad aiutare connazionali e ucraini”

Silvia Rosato, presidente del Comites Polonia

MADRID – “Attualmente, a differenza di quanto è accaduto all’inizio del conflitto, non riceviamo tante telefonate di connazionali. Ci contattavano soprattutto italiani con famiglie ucraine. Pensiamo che quelli che avevano parenti in Italia o altrove, si siano già ricongiunti. Ci sono italiani fuggiti dall’Ucraina che non hanno una destinazione precisa. Siamo impegnati a favorire la loro integrazione in Polonia; ad assicurargli una sussistenza nel Paese”. Silvia Rosato è la presidente, al suo secondo mandato, del Comites Polonia, l’unico in un paese immenso con 9.268 connazionali regolarmente iscritti all’Aire: 6.079 uomini e 3.189 donne. Come è consuetudine, specialmente in Europa, non tutti i connazionali residenti all’estero si iscrivono all’anagrafe consolare. La realtà polacca non è estranea a questo fenomeno. Rosato, infatti, stima che gli italiani in Polonia in realtà siano di più, molto di più: tra i 20 e i 25 mila.

Se qualcuno si chiedeva quale fosse l’utilità di un Comites, la risposta la trova in Polonia. L’organismo che presiede Rosato ha dato, e continua a dare, contenuto ad una istituzione che tanti in Italia, e non solo, considerano una “scatola vuota” in cui è inutile investire. La realtà è invece un’altra. Ci si rende conto nei momenti di emergenza e di disagio. Come, appunto, oggi in Polonia.

– Per noi – ha spiegato Rosato raggiunta telefonicamente dalla “Voce” – è prioritario continuare a veicolare gli aiuti. Riteniamo sia molto importante assicurare la loro continuità; fare molta attenzione affinchè i beni di prima necessità arrivino a chi ne ha realmente bisogno. C’è il pericolo di infiltrazione della criminalità organizzata, della malavita.

S’interrompe. Ascoltiamo un lungo sospiro. Indugia. Forse Rosato ha timore di essere malintesa; forse è alla ricerca della parola giusta che non lasci spazio a equivoci, quella che non scoraggi la solidarietà di tanti connazionali e che, allo stesso tempo, inviti alla riflessione. Ha proseguito:

– Riceviamo tante telefonate di privati e organizzazioni che portano aiuti dall’Italia e offrono il trasporto ai profughi sulla via di ritorno; anche di persone pronte a viaggiare dall’Italia alla Polonia con pulmini per prendere famiglie e portarle con sé. Ma non è così facile come possa sembrare. Noi cerchiamo di informare, di orientare, di far capire che alle famiglie ucraine che si recano in Italia bisogna assicurare un alloggio, una sistemazione. Si deve essere coscienti che stiamo parlando di persone che hanno vissuto un’esperienza traumatica. Hanno bisogno di metabolizzare il dramma che stanno vivendo e capire se l’Italia è realmente il posto dove desiderano recarsi. Quelle di tanti italiani sono iniziative lodevoli – ha aggiunto -; ma nessuno può pensare di venire in Polonia caricare famiglie su pulmini o pullman e ripartire per l’Italia. Molti ucraini non sanno neanche dove si trovi l’Italia; tanti altri preferiscono restare nei paesi limitrofi perché, in cuor loro, sperano che la guerra finisca presto. E poi – ha detto -, in questi giorni osserviamo un’inversione di tendenza. Sono tanti coloro che vogliono tornare in Ucraina.

– A cosa attribuisce questo fenomeno?

– Sono per lo più donne che, con le auto piene di beni di prima necessità e medicinali – ha spiegato -, si apprestano a tornare dove hanno lasciato casa, mariti e parenti. Si stanno verificando, quindi, anche queste dinamiche.

–  In che modo cercate di aiutare gli italiani che dall’Ucraina arrivano in Polonia?

Ha spiegato che gli italiani residenti in Ucraina, stando all’Aire, sono circa duemila e ha precisato che si tratta, nella stragrande maggioranza, di connazionali con famigliari ucraini.

– Abbiamo aderito ad una iniziativa del Comites della Romania e del suo Presidente Gianni Calderone: la creazione di un “call center” comune, un numero di “prima assistenza” – ha poi commentato -. Le prime settimane, i connazionali che fuggivano dall’Ucraina ci chiedevano quali documenti fossero necessari per trasferirsi in Italia ed eventualmente come viaggiare. Insomma, volevano sapere come arrivare in Italia. Poi, col passare delle settimane, questo tipo di richieste sono diminuite, fino a quasi esaurirsi. Ora, ci contattano persone che vorrebbero venire in Polonia per consegnare merci, beni di prima necessità e poi, nel viaggio di ritorno, portare eventualmente ucraini con sé.

Il Comites Polonia al completo

Rosato ci dice che coloro che arrivano ai centri di accoglienza hanno bisogno di tutto, principalmente di un alloggio.

– Si tratta soprattutto di sfollati che non hanno una destinazione – ha precisato -. Ci sono azioni più o meno coordinate. Per esempio, sappiamo che la Caritas Polska si sta preoccupando di dare risposte alle varie esigenze. Anche le città polacche, i vari municipi collaborano. Quindi, direi, che principalmente c’è necessità di assicurare assistenza, un alloggio alle famiglie che fuggono dalla guerra. Poi, di dare a queste persone un impiego. Il 12 marzo – ha ricordato – è stata emanata una legge che garantisce la legalità del soggiorno. C’è stata una semplificazione della documentazione necessaria. Il soggiorno dei rifugiati ucraini – ha precisato – è considerato legale per 18 mesi. Trascorsi 9 mesi, i rifugiati possono chiedere un permesso di soggiorno temporaneo per un periodo di tre anni. Si stanno verificando anche altre dinamiche. Tanti ucraini sono convinti che la guerra terminerà tra una o due settimane. Pertanto, non accettano offerte di lavoro. Non sono interessati. Comunque, possiamo affermare che, chi di loro lo desidera, può lavorare in Polonia, può accedere all’assistenza sanitaria e può ricevere un supporto finanziario di 300 złoty, una tantum. Anche chi li ospita ha diritto ad un contributo per un periodo massimo di 60 giorni.

 

Tanta solidarietà

La nostra conversazione telefonica si svolge senza contrattempi. Le tecnologie moderne hanno avuto il merito di ridurre le distanze, di rendere la comunicazione fluida, di permettere di avere informazioni in tempo reale. Soprattutto, di far conoscere gli orrori delle guerre e di smuovere le coscienze. È difficile restare indifferenti di fronte alle immagini dei bombardamenti e della distruzione; dei morti e della sofferenza di bambini e anziani. È per questo che chiediamo

Bucha, l’orrore della guerra

– Di fronte a questa nuova realtà, di fronte a questa improvvisa alluvione di rifugiati, qual è stata la reazione della nostra comunità in Polonia?

– Si è mobilitato l’intero Sistema Italia – ha risposto immediatamente -. Il mondo imprenditoriale ha risposto immediatamente. Su base settimanale facciamo una “call”. Lo stesso Ambasciatore coordina questo tavolo a cui partecipano il Sistema Italia, organizzazioni e il mondo imprenditoriale. Si fa il punto della situazione.

Ha commentato che è stata riscontrata la massima collaborazione e tanta disponibilità. Molte aziende, ha riferito, “hanno messo a disposizione le proprie strutture: dove alloggiavano le dipendenti ucraine, ora ospitano anche i loro familiari; chi aveva magazzini li ha messi a disposizione per lo stoccaggio dei beni di prima necessità”. Ha parlato di aziende che hanno impegnato la loro rete di trasporti da e per l’Italia, di altre che offrono servizi cellulari per permettere agli sfollati di telefonare in Ucraina e di quelle che hanno trasformato i dipendenti ucraini bilingue in improvvisati interpreti e traduttori. Insomma, sono veramente tante le iniziative in corso di cui sono protagonisti gli italiani in Polonia.

– Che potrebbe accadere nei prossimi giorni, nei prossimi mesi. Quali sono le vostre proiezioni?

– Parliamo di due milioni di rifugiati – ha chiarito -. È ovvio che l’impatto è stato notevole, ed anche visibile. Noi, come Comites, oltre al “call center” di cui abbiamo parlato, ci stiamo attivando per riaprire lo sportello di ascolto psicologico. Riteniamo che sia un servizio assolutamente necessario perché la maggior parte degli sfollati ha subito un forte trauma da guerra. Lo avevamo attivato – ha ricordato – in occasione della pandemia. Ora lo vogliamo rilanciare.

Si tratta, ha aggiunto la presidente del Comites, di un programma incentrato nella tecnica EMDR, acronimo di “Eye Movement Desensitization and Reprocessing”. Questo particolare approccio terapeutico, scoperto dalla ricercatrice americana Francine Shapiro nel 1989, si basa sui movimenti oculari e altre forme di stimolazione.

Un centro per rifugiati in Polonia

– Abbiamo avviato la collaborazione di un esperto psicoterapeuta – ha proseguito -. È poi prioritario aiutare a veicolare gli aiuti.

– Avete avuto modo di parlare con gli italiani sfollati? Cosa vi hanno raccontato?

– Personalmente no – ha ammesso -. Contatti personali non ne abbiamo avuto. Posso, comunque, riportare quanto ci è stato riferito. C’è molto smarrimento, non solo tra gli italiani ma in chiunque arrivi. Non conoscono la lingua, anche se forse ci sono delle similitudini; arrivano dopo aver camminato per giorni; sono stremati. A volte, hanno necessità di un aiuto per trasportare il bagaglio o per intrattenere i bambini. Dai loro volti si evince una immensa stanchezza, un grande smarrimento, ed una enorme tristezza.

Ha commentato che, purtroppo, non sono mancati casi di violenza e che, con il passare dei giorni, delle settimane, cresce la preoccupazione per la sicurezza dei più piccoli.

– Preoccupa soprattutto la tratta dei bambini, un argomento molto delicato e al centro dell’attenzione – ha commentato.

La sua voce tradisce emozione e quei sentimenti propri di chi sente quasi sulla propria pelle la tragedia di tante famiglie che, pur di allontanare i figli dall’orrore della guerra li affidano ad amici e parenti, nella speranza di poterli riabbracciare in futuro.

– I bambini sono sempre la fascia meno protetta, più esposta ai traumi derivanti dalla guerra. Cosa avete potuto osservare?

– La protezione civile, con la quale siamo in contatto – ha illustrato -, ci ha fatto presente che per i bambini esiste un documento specifico. Si è posto anche il problema dei bambini che dovevano essere adottati. Le sentenze, a seguito della guerra, sono state interrotte. I potenziali genitori vorrebbero mettersi in contatto con questi bambini. È un altro aspetto della guerra, a cui noi tutti siamo sensibili. Non so come eventualmente potremmo aiutare…

– Ci sono state richieste di italiani che desiderano informazioni su come adottare bambini di ucraini morti in questa guerra o, comunque, orfani…

– Nel corso di un servizio realizzato dal programma televisivo “Le Iene” – ci ha detto – ci siamo offerti ad essere di aiuto. Siamo venuti a conoscenza di 24 bambini e del desiderio dei genitori potenziali di poterli contattare.

 

Mancanza di coordinamento

La guerra non ha colto di sorpresa. Per giorni il presidente nordamericano, Joe Biden, ha insistito sull’imminenza dell’invasione russa; per giorni la diplomazia si è prodigata per evitare un inutile versamento di sangue. Dopo 70 anni, tutta l’Europa osservava con apprensione come la folle ambizione di un leader avrebbe potuto provocare l’esplosione di una nuova guerra. Il conflitto, pur trovando i paesi limitrofi preparati all’accoglienza dei rifugiati, ha messo in evidenza tante smagliature. Ad esempio, come ha fatto notare Rosato, la mancanza di coordinamento. Le tante iniziative di solidarietà, sia a livello locale sia a livello centrale, non hanno un punto di riferimento chiaro.

– Non esiste una mappatura – ha lamentato -. Le faccio un esempio, se abbiamo la richiesta di un connazionale o di un ucraino che vuole andare in Italia e desideriamo procurargli un trasporto sicuro, non sappiamo a chi rivolgerci. Ci sono pullman umanitari, forse anche pullman di linea a costo zero. Ma non ne siamo a conoscenza. Vengono a mancare informazioni. Un elemento che può anche sembrare banale, conoscere, ad esempio, quali sono i punti di accoglienza. Ce ne sono, ne siamo coscienti. Ma non esiste una loro mappatura.

 

Dare risposte ai connazionali

A questo punto, non possiamo esimerci dal chiedere a Silvia Rosato, eletta presidente per un nuovo periodo, quali sono i programmi che, una volta chiuso questo travagliato capitolo della guerra in Ucraina, porterà avanti il Comites nei prossimi anni.

Rosato: “Ci stiamo impegnando a rafforzare la nostra presenza sui ‘social’. Lo riteniamo importante per farci conoscere di più. I Comites non sono così conosciuti come sarebbe nostro desiderio”.

– Il nostro programma– ha spiegato – è stato disegnato sulla base di quelle che riteniamo siano le esigenze dei connazionali residenti nel Paese. È nostra intenzione organizzare e patrocinare attività relative alla promozione della lingua, della cultura, della storia e delle tradizioni italiane in generale. In realtà – ha confessato -, già esistono alcune iniziative, ma non in maniera capillare. Riteniamo importante offrire proposte culturali su più città; quindi, a livello territoriale. Altra esigenza della nostra Comunità, l’input lo abbiamo ricevuto anche dalla nostra Ambasciata, è quella di offrire informazioni su temi d’interesse. Ad esempio, il pensionistico, il fiscale, il legale e il contributivo. Riceviamo sempre più richieste di informazioni su questi argomenti.

Ha sottolineato che il Comites si era proposto, “e l’emergenza Ucraina ne ha accelerato i tempi, di continuare ad offrire il servizio di assistenza psicologica gratuito ai connazionali in difficoltà”. Quindi ha proseguito:

– Altra iniziativa che consideriamo molto importante è quella di attivare percorsi di studio bilingue, Italiano e polacco, nelle scuole pubbliche. Vorremmo avviare un tavolo di concertazione con alcuni “decision makers” italiani locali. I percorsi di studio bilingue sarebbero orientati soprattutto ai figli dei connazionali che sono in Polonia e che hanno l’esigenza di apprendere o di approfondire la nostra lingua.

Ci ha commentato che attualmente si lavora sul potenziamento e l’ammodernamento del sistema informativo per renderlo facilmente fruibile e accessibile ai connazionali.

– Ci stiamo impegnando a rafforzare la nostra presenza sui “social” – ha confessato -. Lo riteniamo importante per farci conoscere di più. I Comites non sono così conosciuti come sarebbe nostro desiderio. Il nostro, poi, è relativamente giovane; il primo Comites è stato costituito nel 2015. È anche l’unico in Polonia.

Ha ammesso con estrema onestà che nonostante nel mandato precedente il Comites si sia impegnato ad “organizzare incontri in tutto il territorio, non è riuscito a raggiungere la visibilità voluta”.

– Altri argomenti in agenda – ha riferito – sono: diffusione delle informazioni sulle procedure burocratiche esistenti e proposte su come migliorarle attraverso la loro semplificazione; e realizzazione di una campagna di sensibilizzazione per l’iscrizione all’Aire.

Chiediamo, per concludere, una radiografia della Comunità italiana in Polonia. È costituita da imprenditori, professionisti, impiegati, commercianti, o studenti?

La risposta è immediata:

– È una comunità – ha spiegato Rosato – molto, molto eterogenea. Sono rappresentate tutte le categorie da lei menzionate. Ma – ha aggiunto – non dimenticherei l’esistenza di una fetta molto consistente di giovani che trovano impiego nelle multinazionali. C’è stato, direi un boom negli ultimi anni. Molte multinazionali sono approdate in Polonia grazie alla creazione di un gran numero di “zone economiche speciali”. Offrono ai giovani un salario competitivo e un contratto regolare a tempo indeterminato. E questo è di grande richiamo. Aggiungerei anche la fascia degli “Erasmus”. Sono tanti, anche se è difficile il loro tracciamento.

Mauro Bafile

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