Hollywood al Met fa la storia della moda americana

L'entrata del Metropolitan Museum of Art in New York, New York con lo striscione per i 150 anni.
L'entrata del Metropolitan Museum of Art in New York, New York con lo striscione per i 150 anni. EPA/JUSTIN LANE

ROMA. – Martin Scorsese, Regina King, Chloe Zhao, Tom Ford, Sofia Coppola. Il glamour di Hollywood ha unito le forze con il Costume Institute del Met per il lancio di “In America – An Anthology of Fashion”, una carrellata di storie, molte dimenticate, che hanno fatto grande la moda americana. Per la mostra, che aprirà al pubblico il 7 maggio, si è scomodata la First Lady Jill Biden: “Un abito a volte parla più di mille parole”, ha detto la moglie del presidente, invitata da Anna Wintour a cui il Costume Institute è dedicato, ricordando quello indossato per il discorso dello Stato dell’Unione, con un fiore nazionale dell’Ucraina applicato sulla manica a significare l’appoggio incondizionato al Paese in guerra.

La mostra è il secondo capitolo dopo “A Lexicon of Fashion” dedicato allo stile a stelle e strisce. Nove registi hanno usato 13 sale d’epoca dell’American Wing per una serie di “tableaux vivants”: dai sarti anonimi della fine del ‘700 fino a metà anni Settanta del ‘900, passando per la Gilded Age e per Ann Lowe, pronipote di schiavi, che vesti’ Jackie Bouvier per il matrimonio con John F. Kennedy. Punto d’arrivo e “pièce de resistance” è l’installazione di Tom Ford. Manichini realizzati a Tokyo da un esperto di arti marziali si affrontano a colpi di fioretto nella galleria ovale che ospita il dipinto panoramico di John Vanderlyn per ricreare la “Battaglia di Versailles” del 1973, l’epico scontro tra cinque stilisti americani e cinque francesi nella sfarzosa cornice della reggia.

Vinsero gli americani e per la prima volta i francesi furono costretti ad ammettere che gli Usa capivano qualcosa in fatto di moda. La mostra coincide con i 75 anni del Costume Institute e il curatore Andrew Bolton (autore di altri blockbuster come Alexander McQueen, Anglomania, Camp, Punk e Heavenly Bodies) ha scelto cento capi, dando poi a Ford e colleghi – coinvolte anche Radha Blank, Janicza Bravo, Autumn de Wilde e Julie Dash – carta bianca per riportarli in vita.

Sofia Coppola ha appena finito un film tratto da un romanzo di Edith Wharton, “L’Usanza del Paese”. Con musiche di Schubert mixate dal marito Thomas Mars, ha raccontato nella Worsham-Rockefeller Dressing Room l’emergere di stilisti a New York durante la Gilded Age, i decenni alla fine dell’800 che hanno ispirato, oltre alla serie firmata Julian Fellowes, il tema del gala di stasera: “Gilded Glamour e White Tie”.

Con la regia della Zhao di “Nomadland” e la voce narrante di Frances McDermott, le sale Shaker ospitano donne devote vestite da Claire McCardell che negli anni ’30 fissò i principi dello sportswear tra cui utilità e semplicità. Con un occhio a diversità e inclusione, Julie Dash di “Daughters of the Dust” ha ambientato la figura della Lowe nella Renaissance Revival Room.

L’idea è di raccontare anche chi è rimasto “una nota a pie’ pagina”: Regina King ha reso giustizia a Fannie Criss Payne, modista nera che superò l’ostracismo dei bianchi della Virginia e fece fortuna a Harlem. Quanto a Scorsese si è ispirato a uno dei suoi film preferiti, “Leave Her in Heaven” di John Stahl, un “Noir in Technicolor”, per collocare nel salotto della casa anni ’40 di Frank Lloyd Wright una veglia funebre, con una giovane vestita a lutto dal couturier Charles James. Un “fotogramma che apre a molti esiti”, ha detto il regista, lasciando al pubblico del Met immaginare cosa verrà dopo.

(di Alessandra Baldini/ANSA)

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