Sgominata la ‘ndrangheta della Capitale, 43 arresti

In una foto dell'Ufficio Stampa della Dia, agenti in azione.
In una foto dell'Ufficio Stampa della Dia, agenti in azione.

REGGIO CALABRIA. – Un’imponente operazione della Direzione investigativa antimafia, con il coordinamento delle Dda di Roma e Reggio Calabria, denominata non a caso ‘Propaggine’, con 72 arresti complessivi, 43 a Roma e 29 in Calabria. Un colpo ai traffici della ‘ndrangheta, in particolare appunto a quelli della propaggine della capitale dove operava quella che in ambienti criminali era conosciuto come il ‘locale di Roma’, sotto la diretta gestione della cosca Alvaro-Penna, egemone a Sinopoli, nel Reggino.

Ai domiciliari è finito anche il sindaco di Cosoleto, altro centro del reggino, Antonino Gioffré, eletto, secondo i pm calabresi, grazie ai voti della cosca che, nel frattempo, si era insediata anche nel suo comune. Gli Alvaro nella capitale non avevano trasferito solo linguaggi, doti e riti tipici della criminalità calabrese, ma soprattutto la forza intimidatrice della ‘ndrina di origine.

E’ così che il “locale di Roma”, anno dopo anno, è riuscito a mettere le mani su svariate attività commerciali nei settori ittico, della panificazione, della pasticceria, del ritiro delle pelli e degli olii esausti, riciclando anche montagne di denaro sporco. La sezione locale della ‘ndrangheta si avvaleva di manodopera autoctona per l’attività di riscossione dei crediti e in particolare della famiglia Fasciani.

La scalata della filiale criminale inizia, secondo gli investigatori del Centro operativo della Dia di Roma, da cui è partita l’indagine proseguita, sul versante calabrese, dai loro collegi di Reggio, nel 2015, quando “la Provincia” ha dato il via libera all’operazione. A guidare la propaggine romana degli Alvaro, Vincenzo Alvaro, figlio di Nicola detto “u beccausu” e Antonio Carzo, figlio di Domenico detto “scarpacotta”. “Noi a Roma siamo una propaggine di là sotto” si vantavano, intercettati, gli indagati “romani”.

Ma in realtà, secondo quanto emerso dalle indagini della Dia, il legame tra la “casa madre” sinopolese e la propaggine romana è stato sempre attivo ma gestito con estrema cautela. Tant’è che i due capi del locale romano limitavano al minimo gli incontri di persona con i vertici calabresi, facendoli coincidere con eventi particolari, quali matrimoni o funerali.

A loro era concessa un’ampia autonomia nelle attività illecite ma rimaneva sempre lo stretto legame con la “casa madre” a cui spettava il compito di intervenire per dirimere situazioni di frizione tra i sodali romani o per l’adozione di decisioni concernenti l’assetto della gerarchia criminosa della capitale.

Nonostante gli interessi romani, gli Alvaro non trascuravano il proprio territorio, estendendo anzi la propria egemonia nel vicino centro di Cosoleto, retto dai Penna fino ad influenzare, secondo l’accusa, elezione del sindaco alle amministrative del 2018. In quella occasione, scrive il gip di Reggio Calabria nell’ordinanza, le intercettazioni mostrano “come la ‘ndrangheta avesse da sempre condizionato il libero svolgimento del voto”.

Elezioni, quelle del 2018, scrive ancora il gip, “pesantemente condizionate dalla cosca Alvaro in accordo con il sindaco uscente Antonino Gioffrè, poi nuovamente candidato ed eletto”. A stringere l’accordo sarebbe stato proprio uno dei capi del locale di Roma, Antonio Carzo, indagato con Gioffrè per scambio elettorale politico-mafioso.

La “contropartita per il sostegno elettorale – è scritto nell’ordinanza – si sarebbe dovuta sostanziare nel reperimento di un lavoro per Vincenzo Carzo, figlio di Antonio, e anche per Annunziata Maria Catena Modafferi, compagna del primo”. E pochi mesi dopo il voto, annotano gli inquirenti, Vincenzo Carzo è risultato idoneo nel bando regionale di servizio civile per l’attuazione della misura “garanzia giovani” denominato “Green Vision”.

(di Alessandro Sgherri/ANSA)