“Mamma”, la prima parola nei tunnel dell’Azovstal

L'evacuazione da Azovstal il 6 maggio. (ANSA)

ROMA.  – Prima di trovare rifugio nell’acciaieria Azovstal, non aveva ancora detto la sua prima parola. Nell’ultimo baluardo della resistenza ucraina a Mariupol, Svyatoslav è entrato insieme alla mamma Anna il 25 febbraio.

Non aveva ancora 4 mesi. Lì dentro ha imparato a dire “mamma”. Insieme sono stati tra i primi a uscire quando – tra il 30 aprile e il 1 maggio – i civili hanno cominciato a essere evacuati. “Quando siamo entrati pensavamo di restare lì per 2-3 giorni. Nel momento in cui un razzo ci ha colpiti e ci siamo dovuti spostare in un altro bunker, ho capito che saremmo rimasti a lungo”, ha raccontato Anna a Ukrinform.ua.

Nel secondo bunker c’erano molte più persone. “La situazione si stava scaldando, le esplosioni si facevano più frequenti. Anche andare nell’unico bagno presente era una sfida” ha spiegato la giovane madre. Se per Anna è stata dura, per Svyatoslav lo è stato ancora di più. “Con le prime esplosioni – racconta – si spaventava moltissimo. Poi si è abituato.

Passavamo la maggior parte del tempo al buio: a lui piaceva, ma c’era molta umidità e avevo paura che prendesse malattie. Anche dargli da mangiare non è stato facile, i soldati mi hanno aiutato”.

Ma per Anna e Svyatoslav l’incubo non è finito nel momento in cui sono usciti dall’acciaieria. “I nostri ragazzi ci hanno portato ai posti di blocco, poi siamo stati consegnati alla Croce Rossa, all’Onu e ai rappresentanti della chiesa. Uno dei rappresentanti della chiesa ci disse ‘per voi la guerra è finita’. Ma quello era solo l’inizio”. A pochi metri dalla partenza, infatti, soldati russi sono saliti dentro ai bus su cui viaggiavano i civili.

Evacuati da Azovstal, Anna e Svyatoslav si sono trovati faccia a faccia con i temuti ‘orchi’ russi. “Siamo arrivati ad alcune tende di notte. Ci è stato detto di spogliarci. Pensavano che potessimo essere militari, cercavano tatuaggi e cicatrici”.

Prima di lasciarli andare, i soldati di Mosca hanno controllato tutti gli effetti personali, scansionando telefoni e scaricando foto, contatti e Sms. A Ukrinform.ua Anna ha raccontato che nelle tende c’erano anche delle donne a fare le perquisizioni: “Mi hanno detto ‘se vuoi teniamo il tuo bambino’. Ho risposto che non lo avrebbero preso per niente al mondo”. Il 3 maggio, finalmente, Anna e Svyatoslav hanno raggiunto Zaporizhzhia: l’incubo era finito.

(Francesco Betró/ANSA).