La lingua e le sue dinamiche

Beh, diciamo che gli italiani all’estero a volte peccano di imprecisione nel parlare la propria lingua, e alcune parole che non vengono in mente, vengono semplicemente tradotte dalla lingua di adozione. È così che, noi che siamo residenti in Spagna, sentiamo dire non più ristrutturazione dell’appartamento, ma riforma dell’abitazione, convocatoria invece di bando, il metro invece di la metro (quando ci si riferisce alla metropolitana) e roba simile. Si può anche parlare di altre lingue di adozione, ma con questi tre esempi credo che sia sufficiente. Beh, questi errori, anche se andrebbero corretti, sono perdonabili perché derivano da abitudini linguistiche che portano a contaminare il proprio vocabolario. Succede e, del resto, la lingua è in costante evoluzione. Esiste, però, un’altra pratica, molto diffusa in Italia e un po’ meno in altri paesi, che è quella di usare anglicismi e abbreviazioni, a volte, ammettiamolo, assolutamente ridicoli.

Parliamo chiaro: un po’ di pigrizia ci può anche stare, ma su certe cose è opportuno fare una riflessione, non per spocchia, ma quantomeno per ritrarre una delle nostre italianissime caratteristiche, che possiamo definire pigrizia mentale.

Ammettiamo, però, che non è sempre colpa dell’individuo. A volte, duole dirlo, è colpa della nostra lingua perché alcuni termini, che ormai fanno parte del nostro linguaggio quotidiano, in italiano risultano, onestamente, adir poco ampollosi.

Pensate a parole ed espressioni come “blog”, “chat”, “newsletter”, “swap”, “zoom”, “fish eye”, “wrapping”, “log”, “bit”, “fader”, “mixer”, “basket”, “volley” eccetera. Forse tutto inizia coi fumetti che ci hanno regalato espressioni come “sigh”, “gulp”, “mumble”, “zot” eccetera? Certo, si tratta di fonemi che ben rappresentano l’intenzione, perché sono un “flash” (per essere coerenti), sono simboli (riassunto di…).

Ma prima di demonizzare i fumetti e gli “anglicismi” (che spesso anglicismi non sono), vediamo come potremmo tradurre questi termini. Non solo per gioco, ma anche per onesto realismo.

Blog – tecnodiario

Chat – elettromessaggistica

Newsletter – notiziario

Swap – sostituzione

Zoom – se parliamo dell’obiettivo che avvicina è un conto, si chiamerebbe teleobiettivo a focale variabile; se parliamo della videoconferenza a partecipazione multipla, beh, abbiamo anche “meet” o “streamyard”… ma in italiano, come si chiama?

Fish eye – occhio di pesce? Qui siamo in crisi

Wrapping – saldatura ad avvolgimento?

Log – memoria di operazioni “informatiche”

Bit – impulso?

Fader – attenuatore, sfumatore, bilanciatore avanti-dietro

Mixer – miscelatore

Basket –pallacanestro, ma basket, già di per sé abbreviazione (di basket ball), è più facile

Volley – pallavolo, ma volley, già di per sé abbreviazione (di volley ball), è più facile

Tennis – non sarebbe la vecchia pallacorda? Ma pensa che “palle” chiamare il tennis pallacorda.

Sigh – singhiozzo, pianto

Gulp – Oh, diamine!

Mumble – Mmmhhh, fammici pensare

Zot – manifestazione immediata di qualcosa che prima non c’era, apparizione per intervento di maga Magò

Beh, dai, un po’ abbiamo scherzato, ma un po’ siamo stati anche seri e, così facendo, abbiamo identificato alcune sostanziali difficoltà che si trovano se vogliamo mantenere la purezza della nostra lingua che, se non fosse per Dante e per l’opera lirica, sarebbe destinata a scomparire.

Il problema, però, secondo me è un altro: se l’italiano fosse studiato a dovere, probabilmente sarebbe più facile usare termini adeguati senza ricorrere ad inutili semplificazioni come “meeting” “location” “report” e amenità del genere, perché tutti sappiamo dire riunione, luogo, rapporto eccetera, ma quando nei notiziari, in politica, sui giornali, nei “mass media” (ops, ci sono caduto: nei mezzi di comunicazione di massa), sui libri editi eccetera, trovi castronerie spaziali, ti chiedi se la diseducazione all’uso della lingua non sia un po’ responsabilità anche di giornalisti frettolosi, “editors” (ops, ci sono cascato di nuovo: redattore, curatore di una edizione) dilettanti, editori poco avveduti ed altro ancora. Già, perché se trovi scritto che le cicale o i tacchini gracidano, se invece di “c’entra” trovi scritto “centra”, se in vece di “le” trovi “gli” quando si dovrebbe usare il femminile, beh, allora è inutile che ci preoccupiamo degli anglicismi che, in giusta misura, sono anche accettabili contaminazioni. Piuttosto preoccupiamoci di parlare bene, di scrivere meglio e di pubblicare senza queste grottesche cadute di stile. La lingua, da sola, saprà difendersi senza inutili levate di scudi.

Claudio Fiorentini

Lascia un commento