Le foto-testamento dell’occhio di Azovstal

Una foto del combattente Azov Dmytro “Orest” Kozatskyi dell’acciaieria Azovstal.
Una foto del combattente Azov Dmytro “Orest” Kozatskyi dell’acciaieria Azovstal. (BATTAGLIONE AZOV/Dmytro 'Orest' Kozatskyi) +++ATTENZIONE LA FOTO NON PUO' ESSERE PUBBLICATA O RIPRODOTTA SENZA L'AUTORIZZAZIONE DELLA FONTE DI ORIGINE CUI SI RINVIA+++ +++NO SALES; NO ARCHIVE; EDITORIAL USE ONLY+++

ROMA. – “A proposito, mentre sono in cattività, vi lascio le mie foto di migliore qualità, mandatele a tutti i premi giornalistici e concorsi fotografici. Se vinco qualcosa, sarà molto bello dopo l’uscita”.

Il messaggio di commiato di Dmytro Kozatsky, alias “Orest”, non poteva che essere accompagnato dalle ultime, apocalittiche immagini dall’acciaieria che per quasi tre mesi gli ha assicurato protezione contro gli assalti russi, insieme a centinaia di commilitoni.

Perché questo ragazzo con la passione per la fotografia non ha mai smesso di raccontare attraverso il suo obiettivo le drammatiche condizioni delle persone barricate all’interno. “Bene, questo è tutto. Grazie dal rifugio di Azovstal, il luogo della mia morte e della mia vita”, ha scritto nel suo ultimo post su Twitter il giovane combattente.

Scorrere a ritroso il suo profilo è un viaggio negli oltre 80 giorni di assedio sotto le bombe di Mosca. Scatti raccolti e resi disponibili anche con un link pubblico, perché nel momento di maggiore incertezza almeno queste testimonianze restino. Immagini terribili di volti sfigurati, feriti amputati e cure in condizioni estreme: una galleria dei dannati destinata a rimanere scolpita nella memoria della guerra, che gli è valso l’appellativo di “occhio di Azovstal”.

Eppure, Orest ha trovato anche la forza e la voglia di mostrare qualche momento di svago. Come nel video diventato virale in cui intona “Stefania”, la canzone della band ucraina Kalush Orchestra, vincitrice dell’Eurovision di Torino. O anche attraverso un suo ritratto pubblicato il 2 maggio, quando già vedeva la fine vicina. “Questa foto – aveva scritto a commento del suo viso sorridente tra fiori primaverili – sarebbe perfetta come “ultima foto”, in modo che tutti mi ricordino così.

La foto che meglio mi descrive, perché anche nella parte più orribile riesco a trovare qualcosa di meraviglioso”. Un congedo che però ancora si accompagnava a un anelito di speranza: “Ma credo che questa foto sarà solo l’inizio. L’inizio della nostra liberazione e vittoria”.

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