Salvini lancia la sfida pensioni: “Quota 41 o barricate”

Matteo Salvini in una foto d'archivio durante la trasmissione Porta a Porta
Matteo Salvini in una foto d'archivio durante la trasmissione Porta a Porta.. ANSA/RICCARDO ANTIMIANI

ROMA. – E’ racchiusa in un numero – 41 – la prossima sfida di Matteo Salvini. Cioè 41 anni di contributi come ‘lasciapassare’ per poter andare in pensione, e senza assolutamente innalzare l’età anagrafica dei lavoratori, perché “66-67 anni è un’ipotesi impensabile. Su quello noi faremo le barricate”.

E’ la promessa che il leader fa dal forum ANSA a cui ha partecipato in mattinata. Insomma, ‘Quota 41’ è il traguardo che da qui a dicembre la Lega vorrebbe condividere con i sindacati, incontrati nei giorni scorsi. E Salvini non ha dubbi: “Il nostro obiettivo è confermare ‘Opzione donna’ e aprire il mondo a Quota 41, anche per dare un ricambio generazionale, perché in alcuni settori l’età media è ormai 50-55 anni, insostenibile!”.

Sbloccata la partita sui balneari – grazie a un accordo di maggioranza che di fatto rinvia ai decreti attuativi del governo la ‘rogna’ degli indennizzi alle imprese, contrarissima però Giorgia Meloni – e sperando di chiudere quella sul catasto, il leghista lancia le prossime battaglie: pensioni e pace fiscale.

Sulle prime, lo spauracchio è il ritorno alla legge Fornero, con la soglia di 66-67 anni per lasciare il lavoro. Uno scenario inevitabile dal primo gennaio, se non ci saranno ‘correzioni’ nella finanziaria a ottobre. Altro ‘rovello’ sono le cartelle esattoriali che pendono sulla testa di 15 milioni di italiani in debito con Equitalia. E qui, più dello spirito battagliero, nel segretario prevale l’amarezza: “La pace fiscale è la grande assente dal dibattito politico, e ahimè dai dossier del governo”, ammette.

Stupisce – secondo Salvini – l’atteggiamento avuto finora dal premier Draghi: “E’ attento ai balneari, alla riforma Cartabia, al fisco. Quando vuole, sa farsi sentire”. Aggiunge di avergli chiesto un confronto più volte. Invano. “Non so dove siano gli ostacoli”, allarga le braccia. Tuttavia, con l’ex governatore di Bankitalia i rapporti sono buoni e procedono “alla vecchia maniera”: “Andiamo di messaggi, no Whatsapp, e poi il primo dei due che può chiama”, rivela.

Nel breve, è la guerra in Ucraina a preoccupare Salvini. Soprattutto per evitare che il Parlamento debba votare l’invio di altre armi a Kiev. “Mi auguro non ci sia un altro voto”, dice e ripete, convinto che “l’arma più potente in questo momento è la diplomazia”.

Ma se costretto al voto, sarà astensione o voto contro? Il leader svicola così: “Conto che ci si arrivi senza una divisione e penso che anche Draghi abbia l’interesse di ricondurre tutto a un ragionamento”. Obiettivo, dunque, evitare ogni trappola che metta a rischio la maggioranza. Del resto il leghista non ci gira intorno: l’esperienza del governo con la sinistra è “irripetibile” e i compagni di viaggio imposti dall’emergenza nazionale, sono “alleati impegnativi”.

Insomma indietro non si torna, ma non va meglio in casa: con Fratelli d’Italia ci sono “frizioni a livello territoriale che io avrei evitato”, ammette, alludendo alle 5 città al voto il 12 giugno in cui il partito di Meloni corre da solo. Sulle regionali in Sicilia non si sbottona sull’eventuale bis del governatore Nello Musumeci (spinto da FdI) perché “è giusto che decidano i siciliani”.

Guardando al 2023, conferma che se il centrodestra vincesse le elezioni, sta al partito più votato fra i tre il ‘diritto di prelazione’ per indicare il premier. Ma non chiude all’ipotesi che sia “un genio che ci rappresenta tutti”, se tutti saranno d’accordo. Non fa nomi, ma chiarisce che a puntare su Palazzo Chigi non sarà necessariamente il leader del partito con più consensi.

Di certo esclude che serva una nuova legge elettorale. “Cambiarla a pochi mesi dal voto è poco rispettoso verso gli italiani”. E argomenta così: “Il proporzionale garantisce ancora meno rispetto al maggioritario, quindi evitiamo di farci del male e di perdere tempo. Teniamoci l’attuale legge e poi ci saranno maggioranze che si metteranno d’accordo su un programma”.

(di Michela Suglia/ANSA)

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