Brasile al voto, l’America Latina spera nella svolta

Da sinistra a destra: "Lula" da Silva il presidente Jair Bolsonaro e Ciro Gomes.

BUENOS AIRES. – Le elezioni presidenziali di domenica in Brasile rappresentano un appuntamento cruciale non solo per il Paese, ma per tutta l’America Latina, anche nella prospettiva delle relazioni con gli Stati Uniti.

I sondaggi anticipano una vittoria dell’ex presidente e leader del Partito dei lavoratori (Pt, sinistra), Luiz Inacio Lula da Silva nei confronti del presidente uscente Jair Bolsonaro del Partito liberale (Pl, destra).

Ma la cautela è d’obbligo per la difficoltà che hanno i sondaggisti nel riflettere il pensiero di 156 milioni di elettori, il 6% in più del 2018. E anche per i colpi di scena sempre possibili nella turbolenta vita política brasiliana.

La scelta del nuovo presidente, che se non risolta al primo turno sarà definita in un ballottaggio il 30 ottobre, è un evento che trascende il Brasile, e può decisamente incidere sugli equilibri panamericani. Con un’eventuale vittoria di Lula infatti, le sei maggiori economie della regione – Brasile, Messico, Argentina, Cile, Colombia e Perù – sarebbero governate dalla sinistra più o meno radicale.

Senza contare altri Stati (Honduras, Bolivia, Cuba, Venezuela e Nicaragua), che pure hanno governi collocati a sinistra. Sulla sponda opposta resterebbero solo Ecuador, Paraguay e Uruguay.

Uno scenario simile a quello dell’America Latina di inizio secolo, quando – con il venezuelano Hugo Chávez, il brasiliano Lula, il boliviano Evo Morales, l’argentino Nestor Kirchner e l’ecuadoriano Rafael Correa – il 75% dei latinoamericani era governato dalla sinistra. Le similitudini però finiscono qua, perché la differenza fra le due epoche è che 20 anni fa i governi potevano utilizzare risorse provenienti da un boom dei prezzi delle materie prime, mentre oggi la crisi legata a crescita debole, pandemia, difficoltà commerciali per il conflitto in Ucraina e l’aumento del debito hanno ridotto le risorse dei governi per gli investimenti sociali.

Altra differenza, sostiene Marta Lagos, direttrice dell’Istituto Latinobarometro, è una maggiore articolazione ideologica dei leader odierni rispetto ai predecessori, che potrebbe rendere più arduo il raggiungimento di intese regionali. Per Lagos, “una cosa che continuano però ad avere in comune i presidenti di sinistra nella regione è l’accentuata enfasi sull’azione dello Stato per ridurre le disuguaglianze”, nonché un’inedita “propensione a raggiungere intese con forze di centro”, come ha dimostrato Lula scegliendo il moderato Geraldo Alckmin per la vicepresidenza.

La situazione è monitorata con attenzione e preoccupazione dalla Casa Bianca, che meno di due mesi fa ha dovuto ingoiare l’esito elettorale favorevole per Gustavo Petro, diventato il primo presidente di sinistra nella storia della Colombia. Ma di fronte alle minacce di Bolsonaro sulla possibilità di non riconoscere una vittoria di Lula, l’ambasciata Usa a Brasilia ha diffuso un comunicato in cui sostiene che “la fiducia nelle elezioni brasiliane rimane invariata”.

E si aggiunge che l’eventuale riconoscimento andrà a chi “vincerà come risultato del processo guidato dal Tribunale supremo elettorale (Tse), e non sulla base di un negoziato con candidati o partiti politici”.
(di Maurizio Salvi/ANSA).

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