L’alchimia di un artista

All’interno, poi, si confondono con altri giardini, giardini strani che sorgono dall’alchimia di un’artista che riesce a far crescere rose dai metalli. Michele Di Lalla ama i metalli, ha un rapporto molto particolare con loro, immerso com’é da tanti anni in un dialogo al quale essi, indipendentemente dalla loro originaria durezza, rispondono piegandosi per permettergli giochi minuziosi. Il ferro si trasforma in minuscole foglie, appuntite spine, petali di rose di diversa grandezza. È un lavoro dettagliato, faticoso al quale può dedicarsi solo chi, come lui, sa parlare ai metalli.


Ha incominciato fin da piccolo. Nella sua amata cittá del Molise, tredicenne, doveva scegliere un mestiere per aiutare la famiglia. Scelse quello di fabbro. “Contrariamente al volere di mio padre – ricorda – perché ero di costituzione gracile e lui pensava che non avrei potuto sopportare un lavoro tanto faticoso”.


Ma il giovane Michele amava le fucine e la sua decisione ebbe la meglio sulle perplessitá della famiglia. “In quell’epoca si lavorava il metallo per fare attrezzi utili per la casa e la campagna. Ma nonostante quello riuscivamo a dare sfogo alla creativitá. Per esempio si facevano palette per i camini con animali nei manici. Galli, uccelli vari, lavorati in maniera dettagliata, rallegravano gli attrezzi che bisognava elaborare in ferro o altro metallo. In quell’epoca facevamo anche ferri di cavallo.”


Epoca di guerra e di miseria, di dolore per i cari che partivano per il fronte. Ancora oggi Michele Di Lalla conserva un album con foto e lettere scritte dal fronte russo da uno zio che non é mai piú tornato a casa. Lettere emozionanti in cui il giovane, unico figlio, dava consigli ai genitori rimasti in paese e raccontava le sue disavventure in modo da non preoccuparli eccessivamente. Lettere che ci parlano di un’Italia che sembra lontanissima ma in realtá non lo é tanto. E comunque permane nei ricordi di persone particolarmente sensibili come Di Lalla.


In Venezuela é venuto, appena diciottenne, per riunire i soldi necessari a comprare l’incudine, il martello, insomma gli attrezzi per mettere su una bottega di fabbro nel suo paese. E invece non é piú tornato indietro. Anche lui é rimasto imbrigliato nella magia di un paese pieno di sole in cui piano piano tanti nostri connazionali hanno messo radici.


Negli anni é arrivato il matrimonio con Lucia, una ragazza della sua terra, compagna ideale che lo ha aiutato e sorretto nelle sue fantasie, nelle sue lotte, e poi i tre figli, due ragazze e un maschio. Oggi Di Lalla parla con emozione del nipotino al quale incomincia a trasmettere la sua passione: quella della lavorazione dei metalli.


Gli anni di mestiere in Italia gli hanno dato gli strumenti per dare via libera ad una incredibile creativitá. E da sempre lavora attorno ad un’icona: la rosa. Un’icona che puó rappresentare il simbolo dell’amore ma anche quello dell’odio, con le sue spine, i grovigli che creano barriere. Di Lalla é un uomo semplice ma la sua arte é il riflesso di profonde riflessioni sulla vita, la politica, le ingiustizie sociali, la forza delle religioni. All’interno dei suoi intricati rosai di ferro, rame, argento, troviamo un pezzo di cannone, la sega di una segheria abbandonata ed altri oggetti. La minuziositá del suo lavoro é tale che si puó restare per ore a vedere una sua opera senza stancarsi. Come una rosa che lentamente si apre piú la guardiamo e piú scopriamo nuovi dettagli. – Nessuno puó immaginare il lavoro che significa battere il ferro per ottenere tutto questo – ci dice sorridendo. É vero, é difficile, mentre si guarda la filigrana di fiori e foglie, immaginare il pezzo di ferro grezzo dal quale mani umane sono riuscite a estrarre tanta bellezza.


Bellezza che é stata apprezzata fino in fondo dall’allora Ministro degli Esteri Simón Alberto Consalvi che, persosi tra la rigogliosa allegria di quelle sculture, é rimasto conquistato dalla semplicitá del nostro connazionale che lavorava per amore e senza le pretese degli artisti che si formano nelle accademie. É stato Consalvi chi lo ha presentato all’allora direttrice del Museo d’Arte Contemporanea Sofia Imber in un giorno che Di Lalla definisce “tra i piú importanti della mia vita”. Ed infatti dopo quell’incontro, Sofia Imber, ugualmente conquistata dalla creativitá di Di Lalla, ha voluto le sue opere per allestire un’esposizione nel Museo. Quasi un sogno per il ragazzino che trasformava in pezzi d’arte le palette dei camini e che poi ha dato vita a giardini di rose per il piacere di creare bellezza da umili pezzi di ferro. Un sogno per la cui realizzazione si é impegnato con entusiasmo creando opere imponenti, di grandi dimensioni, sculture che affascinano e intimoriscono nella loro rigogliosa austeritá. Nel catalogo di presentazione Consalvi ha scritto: Cuando entro al taller de Miguel Di Lalla pienso en una frase de Marcel Duchamp; pienso en Los Pasos Perdidos de Alejo Carpentier y en la novela Canaima de Rómulo Gallegos… Muchos textos de Carpentier o de Gallegos podrían ilustrar las obras de Miguel. O viceversa. Ésta es una selva que quizás ningún italiano podía descubrir en su país.”


E Sofía Imber di lui ha scritto: “El primer encuentro con una obra del maestro Di Lalla me produjo la certeza de estar en presencia de un creador completamente original. Se trataba de una de sus rosas: una rosa carnívoramente expresiva, absurda y perfectamente desencajable dentro de los encuadres normativos tradicionales de la obra de arte, una rosa que rompía esquemas”.


Stesse emozioni abbiamo sentito nell’attraversare giardini di foglie e fiori e poi di ferro e d’argento, nella casa di Di Lalla. La forza di un artista che é riuscito a sconfiggere l’ostilitá del metallo, ad essere piú forte del ferro che di fronte alla magia della creativitá ha chinato la testa per essere trasformato in una filigrana di petali, foglie, spine. Filigrana che narra il percorso di un’esistenza trascorsa tra il fuoco delle fucine, di un passato che é rimasto impigliato nei ricordi immortalati da album di foto e lettere di uno zio ingoiato dalla spietatezza della guerra, dell’allegria di un futuro che si rispecchia nella curiositá di un nipote al quale Di Lalla sogna di tramandare l’esperienza di una vita.