Giustizia non linciaggio


La Settimana Santa ha lasciato, come ogni anno, una scia di lutti. Le strade hanno avuto il loro tributo di sangue in tutto il paese. Sono morti senza nome, solo numeri. E nessuno ha chiamato assassini quelli che, per eccesso di velocità, ubriachezza o semplicemente distrazione, hanno causato incidenti gravi coinvolgendo persone che invece guidavano prudentemente.


Ma se ponti o festività si caratterizzano per un aumento di incidenti stradali, è anche vero che ogni giorno, ogni sera c’è chi muore in strada. Numeri anche loro, numeri che alimentano le statistiche, numeri che quando si uniscono a quelli dei morti ammazzati, diventano veri e propri bollettini di guerra. Gli onori della cronaca si limitano a misere colonne nelle pagine di nera.


Indifferenza alimentata dal fardello di problemi che ognuno carica, dalla pioggia di denunce, scandali, avvenimenti politici che popolano i giornali in una sfiancante lotta tra notizie che si divorano una con l’altra lasciando nelle persone solo un perenne amaro in bocca e una generica sensazione di ingiustizia.


L’apatia crolla quando l’incidente lascia in strada un cadavere eccellente. E allora la voglia di giustizia esplode rischiando di diventare isteria collettiva. È accaduto recentemente quando uno scontro mortale ha tolto la vita ad un atleta che aveva fatto sognare il Venezuela, Rafael Vidal. Tanti i centimetraggi che la stampa ha dedicato alla sua scomparsa. Il morto questa volta aveva un nome, un nome noto. E così, senza attendere il giudizio dei tribunali, in molti hanno tacciato di assassino l’altro, giovane come lui, che era al volante della macchina con cui Vidal ha scontrato.


È sempre una tragedia la morte di un ragazzo, indipendentemente dalla sua fama, tanto più lo è quando avviene, stupidamente, in un incidente stradale. Ed è giusto chiedere giustizia. Ma la giustizia significa anche dare a Roberto Detto, l’accusato, la possibilità di difesa.


E invece, prima ancora di sapere bene di chi si trattasse, Roberto Detto è stato accusato dei peggiori vizi. È stato dipinto come un giovane sregolato e senza scrupoli. Un coro generale ha costruito il “mostro”. Pochi hanno cercato di mantenere serenità ed equanimità. Pochi hanno realmente indagato sulla vita sia di Roberto Detto che della sua famiglia, pochi hanno parlato della morte del padre, avvenuta nel 2000 e dell’impegno che, come unico figlio maschio, ha dovuto prendere lasciando gli studi che svolgeva negli Stati Uniti, pochi hanno ricordato il dolore della madre.


Nessun morto dovrebbe mai diventare un numero. Chiedere giustizia, esigere un paese più equo e più sano è auspicabile per tutti. Ma giustizia significa anche moderatezza nelle accuse, moderatezza negli insulti, significa permettere a qualsiasi persona un giudizio sereno e la possibilità di difesa. Per ora sono ancora troppe le ombre che circondano l’incidente nel quale ha perso la vita Rafael Vidal.


Roberto Detto ha diritto ad un giudizio giusto. Avere come macchina una Hummer, avere un cognome italiano e un conto in banca non possono essere ragioni di una condanna a priori.


La giustizia non può trasformarsi in linciaggio. Sarebbe un danno per chi ha la disgrazia di esserne vittima, ma sarebbe un precedente pericolosissimo per il paese.