Armstrong in fuga dai sospetti


ROMA. – Non gli ha creduto più neanche la sua assicurazione: Lance Armstrong aveva assicurato le sue vittorie al Tour, ma dal 2003 la Sca Promotion, gigante americano del settore, ha bloccato i premi a vincere sottoscritti con il texano, il più vincente e il più chiacchierato campione del ciclismo del terzo millennio, sul quale ora il francese L’Equipe alza il velo del mistero doping.


E non si tratta di non voler pagare, visto che i 4 milioni e mezzo di dollari che restano da saldare sono fermi in banca, interessi a favore della federciclo statunitense: la Sca Promotion ha voluto vedere chiaro sulle voci ricorrenti, sui sospetti, sulle insinuazioni a carico di Armstrong. E ha sguinzagliato investigatori in tutta Europa, anche in Italia per scovare le prove che l’americano non è del tutto pulito. E, hanno detto i dirigenti del colosso assicurativo Usa, se Armstrong ha fatto uso di sostanze dopanti, non verrà mai più pagato. E non sono escluse cause di risarcimento.


La favola del reduce, del ‘ritornato a vivere’ dopo aver combattuto un tumore ai testicoli, è sempre vissuta tra l’incredulità e l’ammirazione, ma con una vena sottile di scetticismo. Da ragazzone muscolare, tutto masse evidenti, dopo il cancro ai testicoli ritornò alle corse un Lance Armstrong letteralmente trasformato, capace di pesare 10 kg di meno, ma di sviluppare, come più di una volta qualche tecnico, specie spagnolo, una potenza in salita abnorme, inusuale.


Una trasformazione che non ha memoria e uguali nella storia del ciclismo e forse dello sport intero. Proprio il tumore ai testicoli aveva sempre fatto pensare che l’americano potesse ‘circolare’ in gruppo con eventuali certificati medici che gli permettessero di colmare chimicamente il gap ormonale, in funzione non sportiva, ma vitale.


Con evidenti benefici nel ciclismo. Stavolta, invece, non si tratta di testosterone, ma di epo. Ad avere avuto dei sospetti non sono stati solo i francesi, che da anni, accanitamente, stanno sulle tracce del vincitore di sette Tour: gli congelarono le urine per mesi, a lui e alla squadra. Non trovarono niente, almeno ufficialmente.


L’unica volta in cui il texano incappò in un controllo positivo fu proprio al Tour del 1999, il primo vinto: allora gli fu riscontrata una positività ad un corticoide, ma lui si difese dicendo che si trattava solo di una pomata antinfiammatoria. Forse proprio perché l’epopea di Armstrong, la battaglia contro il cancro, la fondazione da lui sostenuta, i milioni di braccialetti gialli venduti ad un dollaro per finanziare la ricerca, le sue dichiarazioni perentorie di non aver mai assunto niente di proibito, tutto questo ha spinto più di un cronista ad indagare.


Nel libro L.A. Confidential, al centro di battaglie legali tra l’autore e il texano, Emma O’Reilly, una ex massaggiatrice dell’americano ha confermato le accuse di doping, così come Mike Anderson, un ex assistente di Armstrong, ha dichiarato alla giustizia americana di aver visto il bagno della camera di Lance dosi di androsterin, uno steroide anabolizzante. Persino Greg Lemond, il vincitore di tre Tour e americano come Armstrong, lo scorso anno è riuscito a dire: «Non so proprio come potrà continuare a convincere il mondo intero della sua innocenza». Un’altra botta grossa alla credibilità del texano, prima di oggi, era venuta dall’Italia.


La condanna per doping del dott. Michele Ferrari nel 2004 aprì di fatto aperto un altro fronte. Armstrong ha sempre difeso Ferrari, da cui si è fatto sempre seguire, e lo ha anche confermato pubblicamente. Dalla vicenda Ferrari deriva il caso-Simeoni: «Un assoluto bugiardo», aveva detto di lui Armstrong, riferendosi alla testimonianza chiave del corridore di Sezze che aveva inchiodato il dottor Ferrari.