Venezuela, nuova frontiera

CARACAS – Il Venezuela è la nuova frontiera americana dell’Italia, è l’unico paese dell’America Latina che tiene le risorse per supportare lo sviluppo, e l’Italia dovrà essere un partner privilegiato.


Sono nette le parole del viceministro Adolfo Urso. Arrivano a mezzogiorno e tagliano l’aria tesa dell’hotel Tamanaco. A pochi metri da lui i funzionari d’ambasciata e quelli del governo venezolano corrono da una sala all’altra. E’ quasi finita e si è in ritardo: bisogna stilare le conclusioni del primo consiglio Italiano-Venezolano, quelle che poi verranno consegnate a Chávez nel pomeriggio.


Questo consiglio è uno dei maggiori tentativi, come conferma anche Urso, di avvicinare i due governi, per un Venezuela che continua ad essere nel cuore dell’Italia. Tanti i settori impegnati, ma un progetto svetta su tutti: un  piano ferroviario presentato dalle imprese Astaldi, Ghella e Impregilo (già vincitrice dell’appalto per il Ponte sullo Stretto): 908 km di strade ferrate, 5.031 milioni di dollari d’investimento, per una linea che da San Fernando Apure arriva a Puerto Cabello. Creazione di 12.000 posti di lavoro diretto, e 36.000 indiretti per la costruzione del sistema ferroviario; 8.000 posti di lavoro diretto, e 12.000 indiretti per la manutenzione; 1.000 posti diretti, e 1.500 indiretti per lo sviluppo dell’industria ferroviaria (vagoni, ecc.); infine 2.000 posti diretti, 3.000 indiretti per lo sviluppo agricolo.


Urso è raggiante, la proposta piace, e piace soprattutto a Chávez, perché lungo i binari verranno creati dei gruppi di “sviluppo endogeno” industriali ed agricolo. Tra gli altri l’industria Bertuzzi farà piante di produzione di pomodoro, frutta, olio di soia, mentre l’impresa Mancini si occuperà delle carni.


Durante il mattino però qualcosa non va. Le imprese costruttrici italiane, che hanno presentato la proposta e fatto lo studio ingegneristico e di fattibilità, sono nervose, insoddisfatte. I termini in cui viene scritto l’accordo non piacciono: troppo generici, quasi a voler temporeggiare. Corrono le voci: sembra che il ministro Giordani voglia bloccare tutto, Chávez è contentissimo del piano ferroviario, ma il ministro storce il naso. Ore di confusione, con la macchina diplomatica a mille per contrattare e cercare di arrivare a un accordo che venga firmato anche dalle imprese italiane. Queste ultime minacciano: non firmiamo se non c’è nulla di concreto. Il risultato: mediazione riuscita, accordo firmato, ma molti nodi vengono lasciati al futuro.


Se il progetto ferroviario andasse in porto, a beneficiarne sarebbero anche gli imprenditori italiani in Venezuela. E’ Moises Maionica , presidente uscente della Cavenit, a esprimere in nome della più grande associazione di imprenditori italiani in Venezuela, grande soddisfazione:


, siamo contenti, perché sicuramente per gli imprenditori italiani ci saranno grandi opportunità.


Più difficile la situazione di Eni ed Enel. Quest’ultima, che ha un contenzioso internazionale aperto per il problema dell’orimulsion, sembra verrà risarcita con delle concessioni su infrastrutture energetiche venezolane, mentre ancora è un mistero se l’Eni accetterà o meno le nuove condizioni della legge petrolifera venezolana. Forse sì, ma in cambio dovrebbero esserci nuove concessioni da parte del governo. Soddisfazione anche da parte del settore delle cooperative. Luigi De Chiara, del Cesvi, dice: – La lega coop è arrivata ad un accordo con il ministero dell’economia popolare  per un interscambio formativo.


Molto interesse anche verso il progetto di scambio di energia per tecnologia produttiva, e nel settore sanitario. In quest’ultimo campo è stato firmato un accordo tra Urso e il ministro della Sanitá venezuelano, Francisco Armada: un protocollo d’intesa che consentirà alle aziende italiane di partecipare al gigantesco piano di riammodernamento di oltre 250 ospedali venezuelani.


Anche il turismo sembra aver incuriosito i presenti, ma dal governo avvisano: deve essere turismo ecosostenibile, anticapitalista, e socialista.