Ucciso Filippo Sindoni

CARACAS – Il corpo senza vita di Filippo Sindoni, l’industriale aragueño rapito a Maracay nella serata di martedì da due falsi poliziotti, è stato ritrovato nel tardo pomeriggio di ieri nel settore Los Arenales del municipio Torbes, nello stato Lara, abbandonato sul ciglio della strada che unisce Barquisimeto e Carora. Presentava due ferite d’arma da fuoco. La notizia è stata confermata ufficialmente dal commissario capo del Cicpc Lisandro Zapata. Al momento, ha detto Zapata, si indaga a 360 gradi, senza escludere alcun movente: sequestro, delitto su commissione, vendetta. Un testimone, ha aggiunto, sta collaborando con gli investigatori.


Si è chiusa così nel peggiore dei modi una vicenda iniziata nella serata di martedì, quando verso le otto di sera Filippo Sindoni, cavaliere del lavoro della Repubblica italiana e stella di primo piano del panorama imprenditoriale venezolano, veniva rapito fermandosi a un falso posto di blocco. Due uomini travestiti da poliziotti lo portavano via, dopo aver stordito con un colpo alla testa e poi abbandonato il suo autista-guardia del corpo.


Ieri mattina, in una riunione tra familiari e amici dell’imprenditore, si stabiliva la linea da seguire: riserbo assoluto su quanto accaduto, nel solco di quanto fatto da altre famiglie colpiti dalla piaga dei sequestri di persona. Solo che, in questo caso, non è affatto detto che si sia trattato di un sequestro a scopo di estorsione, come già sottolineato dal commissario Zapata. L’unica cosa certa è che, una volta di più, brilla l’insicurezza in cui è sprofondato il Venezuela. Venire rapiti a un posto di blocco della polizia o supposto tale è già accaduto, lo scorso 23 febbraio, a Caracas, ai fratelli Faddul, tre giovani (12, 13 e 17 anni di età) di origine libanese. E sono stati uomini vestiti da poliziotto a rapire, lo scorso novembre a Ciudad Bolívar, l’italovenezolana Paola Fiorella Carlesi D’Amico, liberata dopo 21 giorni passati in una prigione che non era altro che un buco scavato nella terra. Resta poi tutto da definire il ruolo avuto da elementi della polizia dello Zulia nel sequestro e uccisione di Rosina Di Brino, la 22enne italovenezolana trovata cadavere nel Lago di Maracaibo il 22 febbraio.


Ieri mattina abbiamo parlato con rappresentanti dell’ambasciata italiana, mobilitata in tutti i suoi organismi per l’improvvisa crisi costituita dal rapimento di “un grandissimo personaggio non solo della comunità italiana, ma di tutta la realtà venezolana”, per citare le stesse fonti diplomatiche. L’ambasciata si era premurata persino di avvertire il presidente Hugo Chávez, che certo era informato del fatto; in ogni caso una cortesia dovuta, visto che Chávez e Sindoni erano amici sin da quando quello che poi sarebbe diventato il “Primer Mandatario” era un ufficiale dell’esercito di stanza a Maracay. In merito alle indagini le bocche erano assolutamente cucite, una cosa però è trapelata: l’intenzione di organizzare un incontro con il ministro degli Interni, Jesse Chacón, proprio per affrontare la questione dei sequestri e, più in generale, dell’ordine pubblico. Oggi più di ieri, crediamo che ce ne sia proprio bisogno.