Prodi si è dimesso, via alle consultazioni

ROMA – L’equilibrista è caduto. Contestato dai cattolici sui diritti civili, attaccato dalla “sinistra radicale” su Afghanistan e rapporti con gli Usa, Romano Prodi ha rassegnato le dimissioni da primo ministro. E’ stata fatale la seduta di ieri a Palazzo Madama, dove la relazione del governo sulla politica estera è stata bocciata: solo 158 i “sì”, il quorum era 160. Decisive le astensioni dei senatori Fernando Rossi (ex Pdci, ora nell’Unione) e Franco Turigliatto (Prc). Oggi, con Bertinotti e Marini – i presidenti di Camera e Senato – cominceranno le consultazioni al Quirinale. Dai partiti della maggioranza si dichiara la volontà di proseguire con questa alleanza, ma Prodi fa sapere: “Resterò solo con un governo forte”.


Per riassumere il quadro che ha portato alla crisi di ieri proponiamo la mirabile sintesi distillata nei giorni scorsi da Le Monde, il miglior epitaffio per questo esecutivo: “Ci sono paesi dove la politica estera è oggetto di un vero dibattito, dove i governi sono minacciati di essere messi in minoranza, o addirittura rovesciati, perché nella coalizione che li sostiene ci sono correnti diverse. È quello che accade in Italia. Il governo Prodi cerca di conciliare l’alleanza con gli Stati Uniti con il rifiuto di dipendere da Washington. Per dirla in termini di politica interna, rifiuta sia l’atlantismo atavico della classe dirigente italiana sia l’antiamericanismo non meno atavico degli eredi del partito comunista, elementi indispensabili della coalizione. Per riuscirci, ci vuole la pazienza di Romano Prodi”. Neanche quella è bastata.