Intervista ad Abbado “Il Venezuela, un esempio”

CARACAS – Sono anni che il maestro Claudio Abbado racconta, appena può, le meraviglie del sistema musicale di José Antonio Abreu, un miracolo che ha permesso a un paese di cui poco si parlava di tirar su, in trent’anni, duecentocinquantamila musicisti. Abreu vi è riuscito contro certi pregiudizi, che vorrebbero i paesi caraibici troppo indisciplinati per i rigori della musica, e contro un certo elitarismo che considera la classica come patrimonio su cui l’Europa (e il suo est) vanta un’esclusiva incondivisibile.


La terra dei tambores ha dimostrato invece che l’entusiasmo e i metodi innovativi d’insegnamento musicale, possono sconfiggere anche i pregiudizi, e ora il modello, grazie anche al maestro Abbado che ha portato l’orchestra Simon Bolivar in giro per l’Europa, si sta espandendo, probabilmente anche in Italia. Claudio Abbado, pacato e riflessivo, ci riceve durante le prove, lo incontriamo nell’Aula Magna della Ucv.


 


Maestro Abbado, mi può raccontare come è iniziata la sua avventura?


– E’ iniziata quando ho conosciuto il maestro Abreu, siamo diventati subito grandi amici. Era in occasione del primo concerto dell’orchestra Mahler nel ’99. Stavamo facendo concerti a Caracas, a Cuba e Abreu mi ha presentato questa orchestra, questi giovani che non conoscevo. Mi ha spiegato tutta la storia. E’ meraviglioso, in trenta anni ha tirato su 250 mila ragazzi anche dai barrios, dando strumenti musicali e la possibilità di studiare, di farsi una ragione di vita. Ora questi giovani sono entusiasti, sono felicissimi di far musica.


Da allora è venuto costantemente?


-Sì, dopo aver sentito l’orchestra la prima volta, vengo ogni anno per  lavorare con loro.


Li ha portati anche in Europa?


-Siamo stati a Palermo, a Roma, a Berlino, suoneremo anche a Lucerna. Li dirige Gustavo Dudamel, bravissimo, giovane, tra i migliori direttori d’orchestra al mondo, sta infatti facendo una carriera formidabile. Questi giovani hanno un  istinto incredibile, un entusiasmo e una forza che sono un esempio per tutti.


C’è una pregiudizio sull’indisciplina delle regioni tropicali, come si può trasformare questo in vantaggio musicale?


-La disorganizzazione non può essere un vantaggio. Loro comunque con la musica hanno scoperto un nuovo modo di vivere, in una città come Caracas piena di criminali, di droghe, con un traffico disumano, loro hanno una nuova ragione di vita, la musica è una della migliori terapie, anche a me nei momenti difficili ha aiutato.


 


Ma è solo un palliativo qui in Venezuela o può diventare una professione?


-E’ una scelta professionale, Abreu  non ha tirato su 250 mila persone per poi abbandonarle, io sono andato a Puerto la Cruz, all’aeroporto mi hanno accolto tre orchestre, hanno suonato per me, tutto il Venezuela è cosparso di queste orchestre, ci sono cori, bambini ciechi o sordomuti che partecipano all’entusiasmo, è commovente.


E dal punto di vista tecnico, come li giudica?


-Io non ne faccio un problema di tecnica, con metodi e strade diverse arrivano a un risultato da grande orchestra, possono reggere il confronto con le migliori al mondo, ci vuole solo più tempo e metodi differenti.


Che differenza c’è tra il pubblico di qui e quello europeo?


-Se il pubblico è composto da musicisti c’è entusiasmo, ma non si può fare un paragone perché non ci sono stagioni concertistiche normali, qui culturalmente, a parte la musica, per il resto non c’è quasi niente, insomma la musica è una grande oasi felice.


Adesso ci sono scambi tra Cuba e il Venezuela, è importante, il Venezuela è più avanti sull’orchestra, Cuba lo è sulla danza


Come va la musica classica italiana, se ne parla sempre male?


-Io penso che le persone che hanno assistito al concerto della Simon Bolivar a Palermo e Roma si sono resi conto di quello che è avvenuto in Venezuela, come il vicepresidente di Santa Cecilia, Grossi, che sta cercando di organizzare qualcosa di simile. In Italia le cose non vanno bene, tranne Fiesole, dove Farulli ha fatto una cosa formidabile e miracolosa, siamo nel complesso indietro.


Rispetto a chi?


-Rispetto alla grande cultura italiana degli ultimi secoli, e a quello che dovrebbe essere lo sviluppo. Quanto si fa oggi non è all’altezza di quello che potrebbe essere l’Italia.


Altri paesi stanno meglio?


-C’è stato un progredire negli altri paesi, basta vedere la Spagna, spero che l’esempio musicale del Venezuela possa fare molto anche per noi.


Ma oltre l’entusiasmo qual è il segreto del Venezuela musicale?


-Non è solo l’entusiasmo, c’è una scuola di violino che può insegnare a tante altre scuole,  il loro maestro ha studiato in Belgio, in Europa, i Berliner Philharmoniker vengono ogni anno ad insegnare qui, e se lo fanno vuol dire che c’è una ragione, parlo di Berlino, la capitale culturale del mondo. Non è solo entusiasmo, ma anche il livello che hanno raggiunto con metodi diversi.


Ma quali sono questi metodi?


-Abreu ha le idee molto chiare, c’è un esempio, nell’orchestra infantile ci sono 9 trombe, ti chiedi, cosa ci fanno 9 trombe, così tante?  Tre suonano tutto, tre ogni tanto, e tre piccolini che dai colleghi hanno imparato a suonare una nota, suonano quell’unica nota, è come una catena. Loro sono felici come se avessero fatto tutto il concerto, questa cosa non esiste da nessuna parte.


E’ un metodo che si può esportare in tutto il mondo?


-Certo, come in Brasile, adesso è un sistema che si sta espandendo.


Per concludere, come va il suo pupillo Dudamel?


-Ogni volta che lo vedo ha uno sviluppo enorme, un’immaginazione e  una forza, non ha nessuna paura, si butta su tutte le musiche, deve fare attenzione a non fare troppo, a non dirigere troppo presto. Ora ha accettato un posto in Svezia, una città minore dove può fare la propria esperienza.


Quando la rivedremo a Caracas?


-Tornerò presto, per me è meglio non stare al freddo d’inverno.