Il petrolio torna a correre Sulla scia delle scorte Usa

ROMA  – Nuovo record per il petrolio, che dopo la tregua di ieri è tornato a correre toccando per la prima volta i 94 dollari, in un mercato nervoso in occasione della decisione della Fed sui tassi d’interesse.  A spingere le quotazioni verso l’alto, innescando l’ennesima volata ai massimi da quando i futures sono scambiati sui mercati, e cioè dal 1983, questa volta sono state le scorte petrolifere statunitensi, un importante termometro del abbisogno energetico del primo consumatore mondiale di greggio, scese la scorsa settimana di 3,89 milioni di barili a 312,7 milioni, ai minimi dall’ottobre del 2005. Un dato che ha colto di sorpresa molti operatori (le previsioni medie erano per un rialzo di 400.000 barili), facendo presagire una forte domanda invernale. Ciò ha spinto i trader a una nuova corsa agli acquisti dell’oro nero, che vale il 58 per  cento rispetto alle già alte quotazioni di un anno fa, facendo dimenticare che, appena ieri, Goldman Sachs ha innescato una correzione del 3,4% consigliandoagli operatori di prendere profitti.


Livelli, quelli toccati dal petrolio, che, secondo il presidente dell’Unione petrolifera Pasquale De Vita, risentono di una forte componente speculativa.


– Possiamo stimare – spiega De Vita – che il peso della speculazione si aggiri sui 20-25 dollari al barile, anche se qualcuno si spinge ad ipotizzare valori piú alti. E ad alterare gli equilibri sui mercati ” soprattutto il ruolo di operatori non commerciali di nuova entrata. Su tutti i fondi pensione e gli hedge fund: dai 3 miliardi miliardi di dollari impegnati nel 2000 in strumenti finanziari, l’esposizione sfiora i 100 miliardi miliardi”.


A riaccendere oggi le quotazioni, con il brent volato anch’esso al record (90,74 dollari) e sul finale in rialzo di


2,42 dollari a 89,86, contribuisce anche la volatilità dei mercati in attesa della Fed. Un taglio dei tassi d’interesse, ampiamente scontato dal mercato (nove analisti su dieci lo danno per certo), rischierebbe di indebolire ulteriormente il biglietto verde, sceso ad un nuovo minimo record sull’euro che vale quasi 1,45 dollari. E quando il dollaro è debole, sui mercati partono grossi flussi di acquisti verso le materie prime, come appunto il greggio o l’oro, viste come un solido ancoraggio quando anche la divisa americana è in burrasca.


 Intanto gli investitori ragionano sulle prossime mosse dell’Opec, il cartello dei 12 principali paesi produttori la cui decisione di aumentare delle quote di produzione di mezzo milione di barili, presa il mese scorso, non è riuscita a fermare la fiammata del greggio. Le previsioni dell’organismo di Ginevra di un brusco rallentamento della crescita economica mondiale potrebbero però rivelarsi sbagliate, visto che proprio ieri gli Stati Uniti hanno registrato un’espansione del prodotto interno lordo maggiore rispetto alle previsioni lo scorso trimestre. E di fronte al greggio in corsa i grandi consumatori,come Usa, Ue, Cina e India, se vogliono tenere a freno l’inflazione dovranno fare uno sforzo in più per convincere l’Opec ad aprire un po’ di più i rubinetti dei suoi oleodotti.