Per Marini un impegno “ai confini dell’impossibile”

Giorgio Napolitano ha cercato di imprimere la massima forza alla sua decisione di incaricare Franco Marini, presidente del Senato, di verificare la possibilità di un accordo in extremis per evitare le urne. Già la decisione del presidente della Repubblica di presentarsi ai giornalisti insieme alla seconda carica dello Stato ha rappresentato un segnale implicito della comune determinazione di trovare una soluzione politica che risponda alle preoccupazioni del mondo imprenditoriale e sindacale, della società civile, persino della Chiesa.


Il Capo dello Stato ha tenuto a sottolineare che non si tratta di una scelta dilatoria ma di responsabilità istituzionale: la crisi di governo, infatti, è esplosa quando si erano aperti spiragli sulla riforma elettorale e lo scioglimento delle Camere è una decisione grave che merita un’attenta ponderazione, soprattutto oggi che giungerebbe a meno di due anni dalle ultime elezioni, con un inevitabile contraccolpo d’immagine per l’Italia – è il sottinteso – a livello internazionale.


Tuttavia si tratta di un impegno ”gravoso”, per usare le parole di Marini, e secondo molti ai confini dell’impossibile, come dimostrano le prime reazioni a caldo: da Silvio Berlusconi è giunta una netta chiusura e la conferma che Forza Italia chiederà al presidente incaricato di tornare subito al voto; ma anche i piccoli partiti non hanno fatto molto per aiutare Marini: il Pdci, per esempio, ha fatto sapere che non voterà mai un esecutivo insieme alla destra, il socialista Boselli non sosterrà una riforma sulla base della bozza Bianco né il referendum, Lamberto Dini si è detto convinto che il presidente del Senato non ce la farà, tout court. Senza contare che Pier Ferdinando Casini in mattinata aveva spiegato che dovrebbe impazzire per accettare di appoggiare un esecutivo insieme a Rifondazione e Verdi.


Certo, a differenza di altre situazioni del passato stavolta il Quirinale sembra aver conferito alla seconda carica dello Stato un mandato privo di grandi vincoli, una sorta di invito all’esplorazione a tutto campo che può trasformarsi in mandato alla costituzione di un gabinetto senza bisogno di un nuovo passaggio al Colle. Tuttavia l’incarico è accompagnato dalla richiesta di fare presto perché nessuno si nasconde la difficoltà della situazione sociale ed economica: qui è uno dei nodi della crisi, perché un nuovo governo non potrebbe in ogni caso limitarsi alla legge elettorale, ma dovrebbe fare i conti giocoforza con alcune scadenze di politica internazionale ed interna, oltre che con le varie emergenze (prima tra tutte quella dei rifiuti). E sono temi sui quali in questo momento è difficile trovare un’intesa bipartisan.


C’è un altro punto debole: la proposta di riforma da sottoporre ai partiti. Marini ne ha parlato a lungo con Enzo Bianco e l’ipotesi potrebbe essere quella di rafforzare in senso maggioritario la prima versione della bozza presentata in Senato per venire incontro al Cavaliere. Ma è una strada che si scontrerebbe con l’ostilità di An, dell’Udc e dei cespugli dell’Unione, vanificando immediatamente il clima bipartisan.


Non a caso il pessimismo è il sentimento prevalente nei due poli. Walter Veltroni dice di non temere le elezioni e si prepara a valorizzare il lavoro del governo Prodi e a denunciare la mancanza di responsabilità di Berlusconi che non ascolta gli appelli delle parti sociali; ma l’impressione è che ormai anche il Pd si sia rassegnato all’inevitabilità delle elezioni. Il sindaco di Roma non si dà per spacciato perché conta sulla forza innovativa del progetto democratico e sulla possibilità di fare del Pd il partito di maggioranza relativa superando i risultati di Forza Italia (il che secondo molti sondaggi appare un traguardo possibile).


Berlusconi risponde insieme a Casini con la proposta di fare della prossima una ”legislatura costituente”: a ben vedere si tratta di un modo per uscire subito dalla logica del muro contro muro per lasciare aperto il filo del dialogo in vista di una nuova fase politica. Nel centrodestra infatti si è consapevoli che molti problemi non sono stati risolti e che i centristi continuano a coltivare una visione diversa dagli alleati. Quando Casini dice di non aver cambiato idea sulla leadership dell’ alleanza conferma indirettamente questa difficoltà. Il che fa pensare che un Pd autonomo dalla sinistra radicale potrebbe avere nella futura legislatura un ruolo tutt’altro che scontato.


 


Pierfrancesco Ferré


(31/1/2008)