Franceschini: “Costruire un nuovo riformisono”


ROMA – Chiudere la stagione di un partito fatto di “ex” e aprire quella che guarda avanti, al rinnovamento; che guarda con fiducia ai propri simpatizzanti e non si arrocca tra i propri tesserati: un partito “aperto” e “credibile”, in grado di proporre al Paese “una gerarchia di valori alternativi a quelli della destra liberista”, un “nuovo riformismo”.


E’ questa l’”identità” che Dario Franceschini intende “ricostruire” per il Pd, quella che ha disegnato presentando il suo programma per il congresso, e assicurando di poter essere il garante di questo progetto. Grazie anche all’appoggio bilanciato di tante anime del Pd, in cui nessuna è predominante.


Franceschini è partito da un’impostazione “obamiana”: le forze progressiste devono perdere la soggezione culturale verso la destra “ultraliberista”; no, il riformismo “non deve rincorrere le destre, limitandosi a proporre correttivi, ma deve mettere in campo una gerarchia di valori alternativa”, che Franceschini sintetizza in cinque parole chiave: fiducia, regole, uguaglianza, merito, qualità. Ma per rendere “credibili” questi valori e i programmi bisogna praticarli. E’ stato un errore, ad esempio, non varare una legge sul conflitto di interessi tra il ‘96 e il 2001, e ora non si può restare “fermi e silenti”. E poi occorre che sia credibile anche il partito che li propone: ed ecco il capitolo dove più marcata è la differenza da Pier Luigi Bersani.


Franceschini propone un Pd che “non torna indietro a un centro-sinistra col trattino, basato su una divisione di compiti nel raccogliere il consenso”, delegando ad alleati di centro (Udc) il compito di prendere voti tra i moderati.


– Solo ipotizzarlo – sottolinea – significa dichiarare fallita l’esperienza del Pd.


Ne consegue una difesa del bipolarismo e un netto “no” a una legge elettorale “che sposti a dopo il voto la scelta delle alleanze, sottraendo ai cittadini il diritto di sceglierle prima”. Dunque ‘no’ al modello tedesco sponsorizzato da Massimo D’Alema, e ‘si’’ “ai collegi uninominali”. Quanto alle alleanze, spiega Franceschini, saranno fatte così come avviene a livello locale.


– Ma – ha precisato – non torneremo a quella stagione delle coalizioni frammentate e litigiose, costruite con l’unico collante del nemico; una coalizione, infatti, oltre a vincere deve anche governare.


Al suo interno, poi, il Pd sarà un partito culturalmente “plurale”, capace di “trovare sintesi” anche sui temi eticamente sensibili, su cui si discuterà e si deciderà una posizione del partito. Insomma, sarà un partito laico.


Franceschini ha poi spinto sull’acceleratore dell’apertura del partito a cominciare da una difesa accorata delle primarie.


– Non alziamo barriere, gli elettori non sono estranei – ha detto alludendo alle parole di D’Alema che aveva parlato delle primarie come di “un’invasione”. Quanto al rinnovamento, passerà dalla valorizzazione di sindaci, amministratori e dirigenti locali, perché i circoli sono “l’oro” del Pd. Dunque, niente “nuovismo imposto dall’alto”. E non è mancato un via libero al cosiddetto Partito del Nord.