‘Fuggiti’ dall’Italia per nepotismo scoprono gene per lo sviluppo


ROMA – Nel 2000 hanno lasciato l’Italia per gli Stati Uniti, in polemica con il sistema nepotista dell’università, che non permetteva loro di sviluppare adeguatamente le loro ricerche sui tumori al cervello dei bambini. Negli Usa hanno trovato i mezzi, lo spazio, il sostegno di due prestigiose università, prima la Albert Einstein e dopo la Columbia. E adesso Antonio Iavarone e Anna Lasorella annunciano la scoperta del gene che svolge un ruolo chiave nello sviluppo delle cellule staminali, coinvolto anche nel più aggressivo fra i tumori del cervello. Sono gli stessi ricercatori a parlare della loro scoperta in un articolo pubblicato dalla rivista Developmental Cell.


“Adesso – spiega Iavarone – abbiamo trovato una proteina capace di distruggere alcune delle proteine-chiave utilizzate per ottenere le Ips e di far ripartire quindi la trasformazione delle cellule staminali in cellule adulte”. La proteina si chiama Huwe1 e la sua scoperta potrebbe in futuro portare anche a nuove terapie contro i tumori cerebrali.


“La molecola – spiegano – si è rivelata indispensabile per la corretta programmazione delle cellule staminali del cervello perché grazie ad essa si formano i neuroni durante lo sviluppo dell’embrione di topo. Ma abbiamo scoperto che la stessa proteina viene eliminata durante lo sviluppo del più maligno tumore del cervello che colpisce bambini e adulti, il glioblastoma multiforme”.


Durante la formazione del cervello dell’embrione, spiegano i ricercatori nell’articolo che presenta la loro scoperta, “le cellule staminali del sistema nervoso si dividono ad una velocità molto alta prima di trasformarsi, dando origine alle cellule nervose mature, i neuroni. Perché questo processo avvenga in maniera corretta, le proteine che mantengono le cellule nello stato staminale ed immaturo devono essere eliminate”.


Cosa accade invece nel caso di tumori al cervello? Secondo la scoperta, “nel topo, in assenza di Huwe1, le cellule staminali si moltiplicano in modo incontrollato per cui la formazione dei neuroni è compromessa e lo sviluppo del cervello procede in modo anomalo”. Iavarone ha ipotizzato che “l’attività di Huwe1 possa essere deficitaria nelle cellule dei tumori nel cervello dell’uomo”, ipotesi che ha trovato riscontro. “La perdita di Huwe1 potrebbe essere una importante tappa nello sviluppo dei tumori cerebrali più maligni, i glioblastomi multiformi, ed una terapia per questi tumori potrebbe derivare se riuscissimo ad aumentare la funzione di Huwe1 nelle cellule tumorali”, concludono.


Combattere il tumore al cervello è l’obiettivo che Antonio Iavarone e Anna Lasorella, sposati da anni, si sono posti dai primi anni di Università. “Siamo entrambi pediatri, io sono di Benevento e mia moglie di Bari, ci siamo conosciuti al Policlinico Gemelli, nei primi anni ‘90: lavoravamo al reparto di Oncologia pediatrica. Grazie alle nostre ricerche avevamo ottenuto un finanziamento da parte della Banca d’Italia. Ma poi ci siamo resi conto che non potevamo fare il nostro lavoro in Italia, e così ci siamo spostati a New York, nel 2000 alla Albert Einstein, e nel 2002 alla Columbia”.


Iavarone non torna volentieri sulle ragioni che hanno spinto lui e la moglie a emigrare negli Usa. Ma il giornale Repubblica si è occupato della loro vicenda, raccontata nel 2000 da Elena Dusi, e ripresa poi da Curzio Maltese. “Da noi la bravura non paga”, s’intitolava l’articolo che per la prima volta parlava della vicenda. “Il primario di oncologia, il professor Mastrangelo, ha cominciato a renderci la vita impossibile – raccontava la Iavarone – Ci imponeva di inserire il nome del figlio nelle nostre pubblicazioni e ci impediva di scegliere i collaboratori. Non lasciava spazio alla nostra autonomia. Per anni abbiamo piegato la testa. Poi, nel ‘99, abbiamo denunciato tutto”.


E a quel punto, anche sulla scia di una denuncia per diffamazione effettuata dal professor Mastrangelo (“Abbiamo vinto la causa”, dice Iavarone) ai due ricercatori non è rimasto che il volontario esilio. Che si è rivelato proficuo, dal momento che lavorare negli Stati Uniti gli ha permesso di sviluppare le loro intuizioni.


L’unico commento lasciato sulla vicenda che li ha allontanati dall’Italia (dove torneranno a settembre per presentare la loro scoperta), è che “il caso è stato paradigmatico per le caratteristiche, ma non è un caso isolato”. “Però non mi chieda altro – conclude Iavarone – altrimenti ci dicono che facciamo polemica. E invece vogliamo parlare solo della nostra scoperta, che ci fa essere speranzosi per gli sviluppi futuri delle cure”.