Thailandia, prove di dialogo tra il governo e i ‘rossi’

Le reciproche barricate – i soldati a protezione del quartiere finanziario di Silom, le “camicie
rosse” nella zona dello shopping – rimangono in piedi. Tra il governo di Abhisit Vejjajiva e i sostenitori dell’ex premier deposto Thaksin Shinawatra, tuttavia, sta tornando attuale l’opzione di un negoziato per risolvere la crisi politica iniziata da oltre un mese, e culminata con i 25 morti degli scontri del 10 aprile.

L’iniziale offerta di
trattative del primo ministro è stata formalmente respinta dal movimento antigovernativo dopo quei morti. I “rossi” dicono dopo il “bagno di sangue” non può esserci trattativa diretta, ma l’impressione è che dietro
le quinte il dialogo non sia interrotto del tutto. Abhisit, ha fatto sapere ora il suo portavoce Panitan Wattanayagorn, “è disposto a parlare delle condizioni per indire una elezione e apportare emendamenti alla
Costituzione”.

Una linea non diversa da quella tenuta dal premier durante i due round di negoziati in diretta televisiva, alcune settimane fa, e alla fine giudicata insufficiente dai leader dei “rossi”, che chiedevano
lo scioglimento del Parlamento entro 15 giorni.

Dal palco eretto presso la Ratchaprasong Intersection, uno dei leader più amati dai dimostranti, Jatuporn Prompan, ha escluso però l’idea di sedersi a un tavolo con
“l’assassino” Abhisit: “Non si può discutere fra carnefici e vittime”, ha detto, aggiungendo poi: “siamo pronti a parlare con delle organizzazioni non governative, dei diplomatici stranieri”. La situazione potrebbe essere sbloccata – prassi non nuova in Thailandia – dalla magistratura. Il caso del possibile scioglimento del Partito
Democratico guidato da Abhisit – in relazione a una donazione elettorale di 258 milioni di baht (5,9 milioni di euro) – sta bruciando i tempi previsti, dopo che la Commissione elettorale ha dato il via alla procedura lo scorso 12 aprile.