Marea nera, fallisce l’operazione «Top kill» Casa Bianca: «Una catastrofe ambientale»

WASHINGTON – «Top Kill non ha funzionato. Stiamo provando con un’altra opzione». La British Petroleum ha ammesso ufficialmente che anche anche il terzo tentativo per fermare la marea nera è fallito.

– Dopo tre giorni di tentativi non siamo riusciti a contenere la fuoriuscita. Abbiamo deciso di provare con un’altra opzione – ha detto il direttore delle operazioni, Doug Suttles annunciando il fallimento del tentativo di inviare nel pozzo 35.000 barili di liquidi e fango per bloccare e il flusso di petrolio e poi cementare la falla.
Ora la Bp sta lavorando ad una nuova opzione, chiamata «lower marine riser package» (LMRP) ma bisognerà aspettare almeno cinque giorni per sapere se ci saranno esiti positivi.

Davanti all’avanzata della marea nera, la Casa Bianca non usa mezzi termini. Si tratta del peggiore disastro ambientale che gli Stati Uniti si siano mai trovati a dover affrontare, ha detto Carol Browner, consigliere per l’energia della Casa Bianca.
Da parte sua il presidente americano Barack Obama non ha nascosto la preoccupazione per il flop e per questo nuovo piano.

– Non è privo di rischi – ha detto Obama in un comunicato – e non è mai stato provato prima a questa profondità. Per questo non è stato tentato prima degli altri sistemi.

Per il presidente americano il fallimento dell’operazione ‘Top Kill’ è una notizia «straziante» ma ha detto di esservi stato in un qualche modo preparato.
– E’ anche importante ricordare – ha detto – che se da una parte speravamo che top kill funzionasse, dall’altra eravamo anche coscienti del fatto che esistevano significative possibilità che non lo facesse.
Dalla stampa Usa, intanto, arrivano nuove accuse alla compagnia petrolifera britannica. Secondo quanto scrive il ‘New York Times’, British Petroleum era da mesi a conoscenza di problemi esistenti con la piattaforma ‘Deepwater Horizon’ affondata il 20 aprile scorso.

Il quotidiano cita «documenti interni alla BP secondo cui vi erano gravi problemi e preoccupazioni relative alla sicurezza con la piattaforma Deepwater Horizon molto prima di quanto descritto dalla società al Congresso la settimana scorsa».

Problemi – scrive ancora il quotidiano – che riguardavano la copertura del pozzo ed il sistema di prevenzione delle esplosioni, considerati elementi chiave nella catena di eventi che ha poi portato al disastro sulla piattaforma.

I documenti dimostrano ad esempio che a marzo, dopo diverse settimane di problemi sulla piattaforma, la BP si era trovata a far fronte ad un cattivo funzionamento del sistema di «controllo del pozzo». Mentre 11 mesi fa nutriva preoccupazioni circa il rivestimento del pozzo ed il ‘blowout preventer’, il dispositivo di prevenzione delle esplosioni.

Il 22 giugno ad esempio, ingegneri della BP esprimevano timori sui rischi che il rivestimento in metallo che la società voleva usare potesse cedere se sottoposto ad alta pressione.
«Si tratta certamente di uno scenario catastrofico», spiegava in un rapporto interno l’ingegnere Mark E. Hafle. «Tuttavia è una cosa che ho visto succedere e quindi so che può accadere».

La società aveva deciso di procedere con il rivestimento, ma solo dopo aver ottenuto la speciale autorizzazione dei colleghi della BP perché la pratica violava la politica di sicurezza in vigore e gli standard di design. I rapporti interni, si legge sul quotidiano statunitense, non spiegano come mai la compagnia abbia acconsentito ad autorizzare questa eccezione. Documenti della BP di cui il New York Times è entrato in possesso la settimana scorsa dimostrano che i funzionari della compagnia sapevano che quel rivestimento era il più rischioso tra due opzioni esistenti.