Istat, bilancio a 10 anni dal 3+2 Laurea prima, ma ultimi nell’Ue

ROMA – Ci si laurea di più e prima, sconfinando meno nel ‘fuoricorso’, seguendo con più assiduità le lezioni e dedicando più spazio agli stage: è il bilancio a 10 anni dalla riforma dell’università (che ha introdotto il cosiddetto 3+2) stilato dall’ultimo rapporto Almalaurea sul profilo dei laureati.

Dati tutto sommato confortanti, che tuttavia devono fare i conti con un’altra altrettanto documentata realtà: la posizione dell’Italia resta distante da quella di altri paesi europei. Nel 2007 hanno conseguito un titolo terziario (dati Istat diffusi ieri) circa 60 persone ogni mille giovani (20-29 anni), a fronte dei 77 della Francia e di oltre 80 del Regno Unito e della Danimarca.

Anche anche i titoli nelle discipline tecnico – scientifiche collocano l’Italia sotto la media Ue (12,1 a fronte di 13,8 per mille 20-29 anni), poco al di sopra di Spagna e Germania. E non va meglio a guardare il numero dei ricercatori a tempo pieno nelle imprese: è salito di appena il 14% tra il 1990 e il 2008, contro il 40% della Germania; nello stesso periodo, in Francia il numero dei ricercatori è raddoppiato e in Spagna triplicato.

L’indagine mostra che, comunque, a fronte delle buone performances registrate nel comparto accademico, quando si tratta di trovare lavoro, per i giovani la strada è sempre più in salita: nel periodo 2001- 2009 la condizione occupazionale di tutti i laureati si è aggravata; per i laureati pre riforma negli anni ‘99-2006 a tre anni dalla laurea, infatti, il tasso di occupazione è sceso di 8,6 punti percentuali (da 85,9% al 77,3%); a cinque anni il tasso di occupazione si è ridotto di 3,8 punti percentuali (da 90,5 a 86,7%).


Il titolo accademico risulta sempre più appannaggio di giovani provenienti da famiglie in cui la laurea entra per la prima volta in casa: fra i laureati di primo livello del 2009 ciò riguarda 75 laureati su cento (73% nel 2001).


Gli abbandoni restano elevati, soprattutto nei primi 12 mesi di vita universitaria: fra gli immatricolati erano il 19,3% nel 2001, sono diventati 17,7 nel 2007. E riguardano soprattutto i percorsi scientifici di cui il Paese avrebbe, invece, bisogno.


I laureati in corso, che non raggiungevano il 10% nel 2001 (erano il 9,5%) sono lievitati diventando complessivamente il 39,2 nel 2009.
I laureati pre – riforma del 2001 conseguivano il titolo a 28 anni contro i 27,1 anni relativi al complesso dei laureati 2009. E il dato è tanto più apprezzabile considerando che l’accesso agli studi universitari di nuove fasce di popolazione ha determinato il simultaneo elevarsi dell’età all’immatricolazione (da 20 a 21,1 anni). Dunque, al netto del ritardo all’immatricolazione, per il complesso dei laureati, l’età alla laurea è diventata di 25 anni. Ed è aumentata pure la fetta di laureati under23 che riguarda oggi quasi 17 laureati su cento.


Aumenta l’assiduità alle lezioni, che per 66 laureati su cento riguarda nel 2009 più dei tre quarti degli insegnamenti previsti (con prevedibili differenziazioni: al top della classifica si piazzano gli studenti dei corsi relativi a professioni mediche, in coda quelli dei corsi giuridici). Triplicano tirocini e stage: nel 2009 hanno riguardato 54,5 laureati su cento contro il 17,9% del 2001. Crescono anche le esperienze di lavoro durante gli studi che, in misura crescente, risultano coerenti con gli studi intrapresi.


Le esperienze di studio all’estero dei laureati italiani, contrattesi nei primi anni della riforma, sono andate gradualmente riprendendosi e coinvolgono complessivamente il 13,9% dei laureati del 2009 (più coinvolti i laureati specialistici). A fronte di ciò gli studenti italiani continuano a preferire l’ateneo sotto casa: 78,5 laureati di primo livello su cento hanno studiato nella regione di residenza. E ancora più modesta risulta la mobilità di quanti proseguono gli studi con la laurea specialistica: l’85% dei laureati di primo livello prosegue nello stesso Ateneo in cui si è laureato.