Sakineh condannata all’impiccagione

E’ giallo sulla sorte di Sakineh Mohammadi Ashtiani, la donna iraniana accusata di adulterio, nel braccio dellamorte ormai dal 2006. Sono contraddittorie, infatti, le notizie che arrivano da Teheran: il procuratore generale dell’Iran, Gholam Hussein Mohsen Ejei, ha fatto sapere che la 43enne che rischiava la lapidazione perché accusata di adulterio, è stata ora condannata a morte per impiccagione per un altro reato, la complicità nell’assassinio del marito. Per questo Sakineh finirà sul patibolo.

Nel frattempo però, il ministero degli Esteri di Teheran è intervenuto sullo stato del processo. Il suo portavoce, Ramin Mehman-Parast ha, infatti, sottolineato che “le procedure legali non sono concluse, un verdetto sarà deciso quando saranno terminate”. Il procuratore generale è intervenuto anche a proposito della campagna internazionale promossa per fermare la condanna a morte di Sakineh: “La questione non deve essere politicizzata – ha precisato – il potere giudiziario non si può lasciare influenzare dalla campagna di propaganda avviata in Occidente”.

Ricordiamo che le proteste si sono tenute a Roma, Londra, Washington così come in altre città e che varie organizzazioni per i diritti umani hanno chiesto di fermare la sua esecuzione. A sostegno della sua liberazione è stata redatta una petizione che è stata firmata da diverse personalità, tra cui Carla Brunimentre il Segretario di Stato americano Hillary Clinton ha esortato l’Iran a rispettare le libertà fondamentali dei propri cittadini. Non sono quindi bastate le critiche, le proteste, le manifestazioni, le gigantografie nelle principali città europee e non solo. Sakineh condannata alla lapidazione per adulterio con sentenza poi sospesa, non sarà lapidata ma non scamperà la condanna a morte: sarà impiccata. Di fronte alle dichiarazioni lette sul quotidiano Tehran Times, non poteva non dire la sua il figlio della donna, il 22enne Sajjad Ghadarzadeh.

“Chiediamo alle autorità italiane di intervenire per aiutarci” è tornato infatti a ripetere il figlio di Sakineh, che aveva lanciato un appello già il 2 settembre scorso. Il giovane aveva sottolineto come grazie agli interventi internazionali la condanna a morte della madre fosse stata provvisoriamente sospesa ricordando tuttavia che “sospesa non vuol dire annullata”.