Fini sfida Berlusconi: «Apri la crisi o ritiro i ministri di Fli»

ROMA – Il presidente della Camera chiede al premier di dimettersi ed aprire la crisi per poi rilanciare con un nuovo esecutivo ed eventualmente con una apertura ai centristi di Casini: altrimenti Fli formalizzerà subito l’appoggio esterno ritirando la sua delegazione, con tutto quello che ne potrà conseguire . Da Arcore il Cavaliere risponde a stretto giro di posta: nessun passo indietro, l’esecutivo va avanti. Fini – conferma – si assuma la responsabilità in Parlamento di votarmi la sfiducia.


Ma il presidente della Camera sembra lanciare una vera e propria sfida alla leadership del centrodestra. Non solo le dimissioni, ma la richiesta di una nuova agenda di governo che l’ex leader di An detta punto per punto nel suo intervento alla convention di Fli. Parole che non lasciano indifferente l’opposizione
Se il segretario del Pd Pier Luigi Bersani mette in chiaro che ‘’la crisi è conclamata’’, riconosce a Fini di ‘’aver fatto un passo lungo’’ intravedendo però ancora ‘’tatticismi’’, Antonio di Pietro chiede ai Democratici di presentare ‘’una mozione di sfiducia cui l’Idv darà il suo appoggio’’. Ipotesi che al momento non viene raccolta dal resto dell’opposizione, convinta invece che il redde rationem potrebbe consumarsi su una mozione di Fli contro la Rai.


Nonostante i toni da ultimatum usati dal presidente della Camera, la linea di Silvio Berlusconi e del Pdl non cambia: si va avanti e se il governo non ha i numeri in Parlamento l’unica soluzione resta il voto anticipato. Presa di posizione a cui Fini non replica ufficialmente: quello che doveva dire l’ha detto, sottolineano i suoi fedelissimi, ora sta al premier ed al Pdl fare le dovute riflessioni ma entro 48 ore si capirà meglio il da farsi.
Per martedì infatti è in programma un vertice tra il ministro dell’Economia e gli esponenti della maggioranza (Fli compresa) sulla Finanziaria dopo l’arresto in Commissione e la spaccatura della coalizione su questo provvedimento. La scena al momento però appare sempre la stessa: entrambi i leader attendono che sia l’altro a staccare la spina. Nel ping pong tra Fini e Berlusconi però ci sono delle varianti da considerare, come la pazienza di Umberto Bossi.


– Per il momento sto dietro il cespuglio – dice sibillino il Senatur facendo intendere che nella querelle tra premier e l’ex leader di An la Lega non vuole al momento immischiarsi. L’irritazione del Carroccio però per la situazione di paralisi che oramai da mesi attanaglia il Parlamento, con il rischio di far naufragare la riforma federale, è nota da tempo e oggi lo stato maggiore della Lega si riunirà a via Bellerio per fare le dovute riflessioni. Nel gioco a scacchi poi un posto di rilievo lo guadagna l’Udc.


Berlusconi non fa mistero di voler un ritorno nella maggioranza dei centristi. Un corteggiamento, quello verso Pier Ferdinando Casini, che difficilmente otterrà gli effetti sperati. E se Fini gli intima di non ‘’usare una logica mercantile con l’Udc’’, il segretario centrista Lorenzo Cesa plaude al presidente della Camera e mette in chiaro quali sono le richieste del suo partito:
– Berlusconi abbia il coraggio di rassegnare le dimissioni quando il suo governo tira a campare.
In mattinata Pier Ferdinando Casini aveva chiesto un cambio di marcia alla maggioranza, un sussulto per superare l’autoreferenzialità mentre il paese ‘crolla’. A fare quadrato intorno al Cavaliere è tutto lo stato maggiore del Pdl.


– Il futuro del governo si decide in Parlamento e non in Umbria – sottolinea Ignazio La Russa, ministro della Difesa. Una linea ribadita anche dai capigruppo di Camera e Senato Maurizio Gasparri e Fabrizio Cicchitto che chiamano Fini ad ‘’assumersi le proprie responsabilità’’ nelle Aule parlamentari e ‘’con riti impropri, che soprattutto chi ha ruoli istituzionali non dovrebbe invocare’’.


A chiedere le dimissioni di Fini è il vice presidente dei deputati del Pdl alla Camera Osvaldo Napoli. .
– Mai prima di oggi – osserva – si era visto un presidente della Camera diventare capo partito, dar vita a un gruppo parlamentare e con questo mettere in piedi una strategia di ricatto che evoca le stagioni più buie della Prima Repubblica.


Dal resto delle opposizioni invece la richiesta è una sola: Berlusconi faccia un passo indietro. Lo ribadisce il leader del democratici Pier Luigi Bersani chiedendo un ‘’governo breve per il rilancio del Paese’’. Una proposta a cui si associa anche Massimo D’Alema ribadendo la necessità di un ‘’governo di responsabilità nazionale che affronti la crisi’’.


Il leader dell’Idv Antonio di Pietro invece auspica che da Fini non ci siano ripensamenti.
– Speriamo che domani – scrive sul suo blog – non cambi di nuovo parere, rinnovando, ancora una volta, la fiducia al governo Berlusconi, come finora ha sempre fatto.
Dall’Idv poi un nuovo invito al Pd a presentare una mozione di sfiducia contro il governo.

GOVERNO 1


Napolitano vigila ed attende gli sviluppi

ROMA – Con le dichiarazioni di Gianfranco Fini a Bastia Umbra, la crisi politica della maggioranza che si protrae da sei mesi si è acutizza. L’eventualità che il governo sia a un passo dalle dimissioni non è mai sembrata tanto concreta, ma non siamo ancora di fronte ad una crisi formale di governo, a quella fase cioè che prevede un ruolo attivo del presidente della Repubblica per verificare l’esistenza della maggioranza, per svolgere consultazioni ed eventualmente affidare un nuovo incarico.


Giorgio Napolitano resta ancora ‘in panchina’, a vigilare, a seguire con apprensione gli sviluppi di una situazione, come ha confessato nei giorni scorsi, lo preoccupa perchè determina ‘’gravi fibrillazioni ed incertezze politiche e istituzionali’’ di cui ‘’il Paese sta soffrendo’’.


Abbiamo un mare di problemi da affrontare, ha ricordato Napolitano, perciò ‘’ci vuole un’Italia che funzioni come ‘sistema paese’, e ci vuole molto il senso della responsabilità comune’’. Si può immaginare dunque con quale animo abbia accolto le ultime novità. Fini ha chiesto pubblicamente a Silvio Berlusconi di andare al Quirinale a rassegnare le dimissioni. Ma non è detto, anzi sembra improbabile, che il presidente del Consiglio intenda fare questo passo che consegnerebbe le chiavi della crisi nelle mani del capo dello Stato. Di fronte al rifiuto di Berlusconi, Fini potrebbe chiamare in causa Napolitano mettendo in atto la subordinata della sua richiesta: le dimissioni dei quattro componenti del governo che si richiamano alla sua formazione: il ministro Andrea Ronchi, il vice ministro Adolfo Urso ed i sottosegretari Antonio Bonfiglio e Roberto Menia, che già hanno dichiarato la loro disponibilità in tale senso.


Queste dimissioni, qualificate come il distacco dalla maggioranza di una sua componente, secondo valutazioni raccolte in ambienti parlamentari, potrebbero indurre il capo dello Stato a chiedere al governo una verifica della consistenza della maggioranza in parlamento, con un dibattito e un voto. E da quel voto dipenderebbe la sorte del governo. Se il gruppo di Fini confermasse la sua attuale consistenza, la crisi sarebbe certa.
In ogni caso, ci sarebbe un passaggio parlamentare per arrivare all’apertura formale della crisi con le dimissioni del presidente del Consiglio in carica. Conoscendo Napolitano, il suo scrupolo, la sua rigorosa aderenza alla Costituzione e alle prassi consolidate nella gestione delle crisi di governo, è altamente probabile un passaggio in Parlamento e un voto anche nel caso in cui Berlusconi gli presentasse le dimissioni, come chiede Fini. E’ la procedura che fu adottata nel 2008 di fronte alle dimissioni di Romano Prodi. In quel caso, dopo che fu accertato in parlamento che il governo non poteva andare avanti, Napolitano aprì le consultazioni formali e affidò un incarico esplorativo al presidente del Senato Franco Marini. Quando questi gli riferì che non era possibile dare vita ad alcuna maggioranza in grado di sostenere un altro governo, Napolitano sciolse le Camere e indisse le elezioni anticipate.

GOVERNO 2


Berlusconi: «Fini dovrà sfiduciarmi»

ROMA – Silvio Berlusconi mostra i muscoli di fronte all’ultimatum di Gianfranco Fini, ma ormai anche il premier sembra rassegnato al voto in primavera. Se vuole la mia testa, dovrà votare la sfiducia, assumendosi la responsabilità della fine della legislatura in Parlamento, è la prima reazione che il premier confida ai fedelissimi pochi minuti dopo la fine dell’intervento del leader di Fli. Dettando quella che poi sarà la linea di tutto il Pdl.


Il presidente del Consiglio, dunque, va avanti. Ma non si fa molte illusioni sul fatto che la legislatura possa proseguire: ormai è ‘’morta e sepolta’’, è la frase che un dirigente del Pdl gli attribuisce. Raccontano che il Cavaliere, chiuso ad Arcore, abbia passato la giornata con alcuni dei suoi cinque figli. Difficile credere che non abbia ascoltato il discorso di Fini, nonostante lui stesso abbia detto a diversi deputati di non aver acceso il televisore se non dopo, per godersi la vittoria del suo Milan.


Un distacco ostentato anche con il silenzio ufficiale con cui ha accolto le durissime parole del presidente della Camera. Chi lo ha sentito giura di averlo trovato calmo, sereno, quasi sollevato. Non mancano le telefonate con consiglieri e dirigenti di via dell’Umiltà: da Gianni Letta, a Denis Verdini; da Paolo Bonaiuti, a Fabrizio Cicchitto; passando per ministri ma anche ‘semplici’ parlamentari. Tutti riferiscono, raccontano, danno la loro versione della reazione del premier. Ne nascono una serie di ragionamenti, utili a capire il suo stato d’animo. Si parte dal giudizio su Fini. Del suo ‘tradimento’ del mandato elettorale, del suo essere legato a rituali da Prima Repubblica come quello di una crisi ‘extraparlamentare’ che, a detta del leader del Pdl, non sarebbe gradita neanche al Quirinale. Vorrebbe un mio passo indietro, senza neanche dare garanzie su chi dovrebbe essere il prossimo premier, sarebbe l’argomentazione del premier. Un ‘boccone avvelenato’, da respingere al mittente. Gli elogi di Fini a diversi ministri, inoltre, dimostrano come dietro il suo ultimatum non vi siano ragioni politiche, ma solo pretesti dovuti al livore personale.


Il premier avrebbe particolarmente insistito sull’incoerenza di chiedere le dimissioni del capo del governo rimanendo seduto sullo scranno più alto di Montecitorio. Chiedendo a tutti – deputati, senatori e dirigenti – di puntare su questo nelle loro dichiarazioni. E ancora: Fini parla di legge elettorale vergognosa, dopo averla votata; auspica un patto sociale allargato alla Cgil, confermando di essere ormai appiattito sulle posizioni della sinistra. Per non parlare del ‘festival dell’insulto’ proveniente dai Falchi alla Granata, Briguglio, Barbareschi.


Sul da farsi, il premier sarebbe stato altrettanto netto: se vuole la mia testa deve venire a prendersela in Parlamento perchè io non mi dimetto. Ritiri pure la delegazione dal governo e mi voti contro, sempre che ne abbiano il coraggio. Qualcuno gli attribuisce infatti la speranza che Fli possa spaccarsi.
– Cosa fanno, presentano e votano una mozione di sfiducia con Di Pietro – si chiede un dirigente del Pdl – o peggio bocciano la finanziaria?


Anche per questo, qualche consigliere gli suggerisce di chiamare i ministri ‘futuristi’ uno ad uno, per chiedere loro cosa intendano fare. Ma il nodo per il Cavaliere è un’altro: è Fini che dovrà assumersi la totale responsabilità della crisi, pagandone il prezzo in termini elettorali. Lui stesso però è ormai rassegnato alle urne anticipate. Basta pensare alla frase che gli viene attribuita sulla legislatura ormai ‘’morta e sepolta’’. Casini, avrebbe spiegato, non è disponibile ad entrare nella maggioranza e l’unica alternativa sarebbe quella di farsi logorare lentamente. Conclusione: meglio scaricare la colpa su Fini e sperare che il Quirinale non si opponga al voto.