Mario Ghella, da partigiano a campione olimpico

CARACAS – Quei dodici chilometri che separano Chieri da Torino corsi tutti i giorni per andare a scuola sono stati cruciali per Mario Ghella. Andando a massima velocità per non arrivare in ritardo e scattando per attaccarsi alle targhe delle macchine e cosí riposarsi, ha scoperto la sua passione per la bici.

Mario Ghella, nato nel 1929 e vincitore della medaglia d’oro alle Olimpiadi del 1948 in ciclismo su pista, si è specializzato nella velocità fin dai 15 anni. “Per raggiungere l’istituto tecnico industriale dove studiavo – spiega facendo scorrere davanti a sé le immagini dell’infanzia – dovevo oltrepassare una collinetta, cosí ho imparato a concentrare forza e intelligenza in un tempo molto breve. Ho sviluppato lo ‘scatto’ riuscendo a passare da zero a 60 km/h in 12-13 secondi”.

Le condizioni delle infrastrutture ai tempi in cui cominció ad allenarsi, durante e subito dopo la Seconda guerra mondiale, di certo non erano ottimali. “Le piste in Italia erano molto poche: a Torino vi era un solo velodromo e quindi fui obbligato a fare anche strada”.

La prima vittoria su circuito di Mario fu a Marrakech, poi vinse il Gran Premio di Danimarca e di Parigi, dove conobbe Rossi di Montalera. Cosí ebbe la possibilità di rappresentare il marchio Martini & Rossi in numerose gare in Nord Africa: Tunisi, Casablanca, Algeri, Tripoli.
Tra i 16 e i 19 anni vinse quattro Campionati italiani, il Campionato mondiale e i Giochi olimpici su pista. La sua maglia, contrassegnata dal tricolore, la bandiera iridata e i cinque cerchi olimpici, è conservata oggi presso la Madonna del Ghisallo, a Magreglio nel comune di Como.

Le Olimpiadi

Nelle Olimpiadi vinte da Ghella, essendo le prime dopo la guerra, la nazionale italiana aveva poche risorse economiche. “Non avevamo né le ruote, né le gomme buone” ricorda nitidamente il corridore. E in qualche caso lo spirito di solidarietà fra gli atleti superò la rivalità.

“La squadra azzurra frequentava molti sudamericani che partecipavano alle Olimpiadi e con loro avevamo instaurato un rapporto di amicizia. Io concorsi con l’allora campione venezuelano Julio Cesar León ai quarti di finale e lo battei”.

Dopo la gara, il ciclista vinto andó verso Ghella e fece un gesto inaudito: gli propose di usare le sue gomme per la finale. Ovviamente l’azzurro non ci pensò due volte ad accettare. Nell’ultima prova concorse con l’allora campione del mondo, un ‘baronetto’, il britannico Reginald Harris. “Riuscii a vincere le prime due competizioni contro di lui e cosí non si svolse neanche la terza. Feci un buon tempo considerando la non tanto alta qualità della pista, sicuramente le gomme furono di grande aiuto: pesavano solo 250 grammi, erano tubolari, di seta e molto leggere, insomma – conclude entusiasta – una meraviglia”.

Il ciclismo

I tempi cambiano e la tecnologia applicata a un mezzo classicissimo di trasporto come la bicletta avanza sempre più rapidamente. Per poter osservare le novità di questo sport, Ghella desidera recarsi alle Olimpiadi del 2012 che si svolgeranno ancora una volta a Londra, nella stessa città in cui vinse sessantadue anni fa.
“Quando si concorre su pista i dettagli sono fondamentali. L’esito di una gara dipende, oltre che dalla qualità dello sportivo, anche dalla parabola del velodromo, dalla bicicletta e dall’abbigliamento. Oggi i corridori fanno tempi più brevi rispetto a quando gareggiavo io, perché le bici, composte da titanio, alluminio o fibra, sono molto più leggere e i vestiti di materie plastiche permettono una migliore penetrazione nell’aria”.

È convinto inoltre che il ciclismo, oltre a beneficiarsi delle nuove tecnologie, è anche uno degli sport che più soffre delle conseguenze delle invenzioni moderne. Il doping, per cui sono stati sanzionati tanti atleti negli ultimi anni, è uno degli effetti negativi. “Oggi le capacità individuali hanno un valore minore rispetto ai miei tempi. Nelle competizioni entrano in gioco tanti soldi che inquinano lo sport, incidendo sulle decisioni dei corridori, dei patrocinanti e delle squadre nazionali. Le istituzioni, come il Coni nel caso dell’Italia, hanno il compito di coltivare i valori atletici”. Poi citando uno dei più grandi scenziati della storia, Archimede, afferma con rassegnazione: “L’uomo è ignobile e grossolano, la sua etica viene inquinata molto facilmente”.

La Resistenza

Negli anni dell’adolescenza e della guerra Ghella fu partigiano. Il suo ruolo era rifornire gli uomini della Resistenza che si nascondevano nelle colline della provincia di Torino di armi e di mezzi trasporto. “In quegli anni – spiega con lo sguardo vispo che caratterizza normalmente i giovani – vi era una grande carenza di benzina e spesso i partigiani non riuscivano ad approviggionarsi. Cosí mi ingegnai e inventai il primo motore che usava un bio-combustibile: la grappa. Poi costruii un motore composto da due cilindri che funzionava con il gas prodotto dalla combustione del legno”.

I viaggi

Il ciclista-inventore giró per quasi tutti i continenti del mondo gareggiando oltre che in Europa, in Australia, in Africa e in Sudamerica.
In uno dei suoi viaggi affittó un aereo con un missionario italiano per visitare il Continente nero. Ad ogni fermata in un paese diverso i passeggeri erano stranamente sempre molto carichi di valigie. Arrivati a Tel Aviv il velivolo venne accolto dall’Esercito e non proseguí per Roma. Ghella scoprí solo in quel momento che aveva partecipato a una delle operazioni Exodus, con cui migliaia di ebrei vennero trasferiti da tutto il mondo in Palestina.

All’età di 29 anni decise di stabilirsi in Venezuela, fra i motivi della scelta di questo paese vi era anche l’invito del suo amico venezuelano León, il ciclista che gli aveva prestato le gomme per gareggiare a Londra. A Caracas fondó una fabbrica di biciclette e un’impresa di decorazione di interni.

Progettare per migliorare la vita della gente umile


CARACAS – Progettare la migliore casa ecologica per il maggior numero di persone. Questo l’obiettivo nobile di Mario Ghella: risolvere il problema dei ‘barrios’ che si inerpicano sulle colline delle città venezuelane e aumentare la qualità di vita della gente.

Fin dai primi anni dell’adolescenza con l’invenzione del primo bio-combustibile, l’ex ciclista italo-venezuelano si è ingegnato per mettere a punto un motore pulito che rispetti l’ambiente. Oggi sulla base delle scoperte pregresse ha progettato una ‘casa nuova’ che si caratterizza per due elementi: il minor costo di costruzione e manutenzione e il minor inquinamento.

Ghella si definisce discepolo di Archimede poiché lo scienziato di Siracusa fu il primo nella storia a utilizzare l’energia solare: si dice infatti che riuscí a respingere l’invasione dei romani in Sicilia incendiando le loro imbarcazioni con uno specchio ustore. E la scelta del titolo dell’ultimo progetto delle abitazioni sostenibili si intitola ‘Duemilatrecento’ proprio perché sono trascorsi più di due secoli dalla nascita del grande matematico.
Sul tavolo di legno Ghella ha disposto tutti i modelli delle sue ultime creature: torri, turbine, macchinari, edifici. Ogni pezzo è stato costruito dalle sue mani ormai rugose, ma sempre pazienti e precise nell’eseguire il lavoro. “Ho progettato dei condomini da costruire su dei piani terrazzati sulla collina che si trova al km 14 della strada Caracas-La Guaira. Tutti gli appartamenti saranno autonomi e funzioneranno sfruttando unicamente l’energia naturale” racconta facendo muovere delicatamente i marchingegni da lui inventati.

Nel salone filtra la luce nitida del sole delle montagne di San Antonio che si riflette sui pezzi argentati dei modellini. Mentre fa girare l’elica con un soffio, Ghella spiega che la torre che genera l’energia per tutti i condomini si troverà sulla cima della collina. “A questa nuova generazione di abitazioni sarà garantita elettricità, acqua, sicurezza e mezzi di trasporto senza utilizzare energie esterne. La prima sarà prodotta dal generatore e la seconda dal condensatore sempre della torre. L’acqua inoltre verrà riscaldata con l’energia solare raccolta dalle vecchie tubature di impianti petroliferi che saranno disposte sul tetto” afferma giustificando il suo progetto con dati matematici. L’ex corridore ha pensato proprio a tutto: anche a utilizzare i rottami di vecchie industrie che altrimenti rimarebbero abbandonati nelle campagne.

Poi conclude nascondendo la voglia di continuare a spiegare meticolosamente il suo progetto intriso di coscienza sociale: “Adesso sto costruendo il modello sia di una cabinovia per trasportare gli abitanti fino agli immobili in cima alla collina, sia di una gru scavatrice per costruire gli edifici”. La sicurezza, infine, si otterrebbe attraverso la trasparenza degli spazi pubblici e l’eliminazione di vicoli, muri e ripari presenti nei ‘barrios’. Sarebbe infatti questo tipo di urbanismo umile senza piano e senza controllo che favorirebbe, secondo Ghella, la delinquenza. “Tutto il complesso 2300 sarebbe sorvegliato da un vigilante meccanico che volerebbe in un girocoptero”.

Lo sguardo dell’ex campione olimpico arriva lontano, riesce a scrutare il futuro proiettandosi al di là di ciò che la maggior parte delle persone immaginano. Vuole trovare soluzioni concrete ai problemi attuali della società, come la perdita delle abitazioni dovuta alle recenti inondazioni che hanno colpito migliaia di venezuelani. “Al più presto bisogna costruire un tunnel per evacuare l’acqua piovana che si accumula nella capitale, altrimenti gli smottamenti aumenteranno” afferma convinto di quello che dice.

L’uomo dai capelli bianchi, dal portamento deciso e gli occhi illuminati dalla saggezza non è solo un inventore, ma è anche un conoscitore della storia e un’arstista. Cosí provano le sculture esposte nel salone, fra queste vi è la moneta con il volto di Carlo Magno che mostra il lato poco conosciuto dell’imperatore o l’altro lato della medaglia: l’uomo che dispose la deportazione di migliaia di persone.
Con l’obiettivo di sperimentare i suoi progetti carichi di lungimiranza e sensibilità per le problematiche dei più deboli, Ghella è alla ricerca di un finanziatore o di un imprenditore che metta a disposizione uno spazio della propria fabbrica.

Archimede


Fu matematico, fisico, inventore di grandissima genialità. I suoi studi e le sue scoperte ebbero enorme importanza nella storia della scienza. Nacque a Siracusa, in Sicilia, nel 287 avanti Cristo, ma compì i suoi studi ad Alessandria, con i seguaci di Euclide. La sua fama è legata soprattutto alle sue scoperte nel campo della geometria e dell’idrostatica, una scienza che studia l’equilibrio dei fluidi. In meccanica creò la vite senza fine, la carrucola mobile, le ruote dentate. Si deve a lui la teoria della leva che lo portò a pronunciare la famosa frase «Datemi un punto d’appoggio e vi solleverò il mondo».

Il celebre ‘principio di Archimede’, da cui derivò la legge sul peso specifico dei corpi, sarebbe stato scoperto dallo scienziato in circostanze singolari. Gerone, re di Siracusa, sospettava che l’orefice che gli aveva fornito la corona, invece di oro massiccio avesse usato una mistura d’oro e d’argento. Il sospettoso re incaricò Archimede, suo amico personale, di scoprire la frode senza però intaccare la corona.

Fu così çhe Archimede diede inizio a una serie di ricerche e di studi che lo condussero a porre le basi dell’idrostatica. Uomo di scienza e di studi, Archimede venne costretto, suo malgrado, a trasformarsi in inventore d’armi quando Siracusa entrò in guerra con Roma. La lotta sarebbe stata impari e il risultato a favore dei Romani scontato, se Archimede, su continue pressioni di Gerone, non avesse creato delle macchine militari perfette. Catapulte che lanciavano pietre enormi contro le navi lontane; uncini di ferro che aggregavano le navi più vicine e le sconquassavano; massi che venivano spinti dalla cima delle colline, mediante il sistema della leva, e cadevano sugli invasori; feritoie dalle quali partivano, con un effetto che oggi chiameremmo a mitraglia, nugoli di frecce; specchi dì bronzo che, concentrando i raggi del sole, bruciavano a distanza (ma forse è una leggenda) le navi nemiche: furono queste le macchine da guerra che tennero in scacco i Romani, di gran lunga più potenti, per tre anni.

Barbara Meo Evoli