La rivoluzione di Prandelli vuole un’Under 21 in serie B

ROMA – Stadi “terrificanti” come “carceri a cielo aperto”, manti erbosi in cui il profumo è quello della vernice che li “colora di verde”, una serie A a venti squadre che “tecnicamente è un obbrobrio”, insomma uno scenario troppo vintage per il calcio degli anni 2000.


“Emozionante, sinergico e fondato sul collettivo” invece il pallone che verrà, o almeno quello che sognano Arrigo Sacchi e Demetrio Albertini. Il calcio italiano non sarà proprio all’anno zero – tra i club solo l’Inter è rimasta in Europa, ma dal prossimo anno la rappresentativa in Champions del Belpaese sarà decurtata di un’unità – ma certo sta vivendo “uno dei momenti più difficili”, ammette Sacchi, ex ct azzurro, ora coordinatore delle nazionali giovanili, nel corso del forum organizzato dall’Ansa sulla rifondazione del pallone in Italia. Il cui punto di partenza è l’idea del ct Cesare Prandelli: una selezione di baby-talenti di interesse azzurro da far scendere in campo in serie B, ogni domenica.


“Non ci stiamo evolvendo come negli altri Paesi – ha spiegato Sacchi – è lo specchio più evidente di un paese che non è fatto per i giovani, in cui si vive sempre in difesa: siamo poco sinergici e fatichiamo a fare squadra”.


Per Sacchi il paradosso è che il calcio, così come si vive in Italia, “é uno sport individuale”. E così l’idea anti-crisi arriva direttamente dal commissario tecnico della nazionale, Cesare Prandelli: una squadra azzurra under 21 iscritta a un campionato professionistico, che “Lega Pro o serie B”. Ad annunciare il progetto è Albertini, presidente del club Italia: “Ora porteremo il progetto nelle sedi opportune, vale a dire in Consiglio federale” ha spiegato l’ex giocatore del Milan. Propedeutico all’iniziativa è l’abbassamento dell’età dei giocatori della Primavera, per dare ai ragazzi tra i 19 e i 21 anni un’opportunità per mettersi in luce e anche un incentivo ai club a far crescere i giovani, oltre che ricreare tra loro “quel senso di appartenenza e attaccamento alla maglia che si sta perdendo”.


Una “selezione nazionale”, per fare da bacino di arruolamento degli azzurrini in cerca delle qualificazioni olimpiche a Rio 2016 e cercare di colmare quel vuoto che negli ultimi anni si è tradotto in baratro.
“Oggi abbiamo un bastone in mezzo alla ruota” ha chiosato Sacchi, parlando delle difficoltà con cui fa i conti il calcio nostrano. Nota dolente su tutti quella degli stadi: polemica non nuova ormai, ma sempre di attualità. Impianti “terrificanti” dice l’ex ct, vere e proprie galere a cielo aperto, in cui il profumo dell’erba è solo un vago ricordo: senza stadi moderni il progresso resta tabù. E per questo anche guardare all’estero non è un male: sia Albertini che Sacchi hanno vissuto un’esperienza in Spagna, il primo in campo col Barcellona e il secondo alla corte del Real.


“Noi siamo più portati alla distruzione che alla costruzione – ha premesso Sacchi – e parlando del Barcellona il loro vero doping è la cultura del gioco”. Il riferimento è alle polemiche di questi giorni in Spagna nate dalle accuse mosse alla squadra catalana da Radio Cope. L’Inter ha salvato l’onore dell’Italia con una “bella partita” per Albertini, solo “emozionante” per Sacchi. Ma bisogna guardare lontano, la ricetta prevede stadi nuovi e sinergie vere per accompagnare la rinascita. Con una via obbligata, puntare sui giovani.