Libia, dall’Italia niente bombe. Napolitano «Impegno estero serve»

ROMA – L’Italia non bombarderà la sua ex colonia, la Libia. Il sigillo lo mette il premier Silvio Berlusconi confermando che Roma mantiene la sua linea che non prevede partecipazioni dirette. Troppi i rischi collaterali e il pericolo di vittime civili. Ma la discussione sull’impegno italiano nella missione Nato irrompe comunque al consiglio dei ministri all’indomani del vertice dell’Alleanza a Berlino e trascina con sè le divisioni interne su approccio, richieste e proposte, fino a sollevare, addirittura in Cdm, l’ipotesi di una riduzione dei contingenti militari all’estero, in particolare la massiccia partecipazione italiana alla missione Unifil in Libano. Lo accenna lo stesso Berlusconi sebbene in conversazioni con alcuni ministri a margine del Cdm; ma il tema è tradizionalmente dal potenziale esplosivo nella politica italiana, e tale da frenare sul nascere, almeno secondo il Presidente della Repubblica.


Giorgio Napolitano risponde a distanza da Bratislava ricordando che ”le missioni all’estero contribuiscono alla pace”. Ma la Lega è di diverso avviso e con Calderoli non nasconde la propria soddisfazione sia per aver frenato la possibilità che aerei italiani possano bombardare la Libia, sia per l’avvio di una riflessione sulla riduzione delle missioni militari all’estero.


– I nostri contingenti – aveva sottolineato Napolitano poco prima – sono schierati nei Balcani, in Medio Oriente e in Afghanistan per promuovere e sostenere quei principi di pace e rispetto dei diritti umani che affratellano i nostri popoli. Sono questi medesimi valori – ha spiegato – che hanno spinto l’Italia a raccogliere il grido di aiuto del popolo libico e che devono spronare l’Unione Europea tutta nel sostenere il percorso di sviluppo intrapreso dai Paesi del Mediterraneo meridionale e orientale.


Di toni diversi la posizione ministro della Semplificazione legislativa e coordinatore delle segreterie della Lega Nord, Roberto Calderoli


– Siamo soddisfatti che si sia avviata una concreta discussione per una riduzione delle risorse e dei numeri in termini di uomini e mezzi impegnati nelle missioni militari all’estero. Tali risorse – ha sottolineato – potranno essere impiegate per contrastare un esodo insostenibile per il nostro Paese.


Se quello del capo dello Stato è un invito all’unitaà, a Palazzo Chigi le diverse sensibilità si esplicitano eccome. A porre il problema è stato il ministro della Difesa Ignazio La Russa che, stando a fonti governative, è intervenuto sulla possibilità di un uso degli aerei come in Kosovo, e cioè su altri obiettivi oltre a quelli attualmente previsti dei soli radar libici. La risposta del presidente del Consiglio spalleggiato dai ministri della Lega è stata però molto ferma. Sia il capo del governo che gli esponenti del Carroccio si sono detti contrari a qualsiasi ulteriore impiego degli aerei italiani nei raid. Il premier ha quindi spiegato che l’Italia è già molto impegnata con la concessione delle basi per la partenza delle missioni dell’Onu e che una valutazione di un ulteriore impegno militare per il momento è rimandata.


Immutata ma chiarita anche la linea nei confronti degli insorti: ll governo italiano fornirà ai ribelli del Comitato nazionale transitorio libico (Cnt) soltanto sistemi e tecnologie di comunicazione tra cui strumenti di intelligence, radar e comunicazioni satellitari che serviranno ad agevolare le comunicazioni e ad individuare siti offensivi. Ai ribelli non saranno invece forniti mezzi offensivi o letali, si è confermato in una riunione tra il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e i ministri competenti, fra i quali quello degli Esteri Franco Frattini e quello della Difesa Ignazio La Russa.