Voto all’estero: diritto da difendere o privilegio da sacrificare?

CARACAS – Dopo il mix di misure draconiane della manovra, una forbice ‘anticrisi’ che pesa sui diritti dei cittadini più che sui privilegi della casta, spunta ora la mannaia della riforma costituzionale a firma del ministro leghista Roberto Calderoli, che pende come una spada di Damocle sul diritto di voto degli italiani all’estero.

Ma la garanzia del diritto di voto, già minacciata da oscuri giochi di potere e ‘casuali’ disorganizzazioni, dovrebbe essere un elemento intoccabile della nostra democrazia, non un timido agnello da sacrificare. Gli italiani lo sanno.

Da Maracaibo Michele Coletta, consigliere del Cgie, definisce la riforma Calderoli come una “prepotenza” che “colpisce il povero diavolo per mantenere i privilegi di politici e magistrati”. È convinto, come italiano all’estero, di essere una risorsa importante per un Paese che “da solo va ogni giorno più indietro” e rilancia la tesi del “non chiedere cosa l’Italia può fare per te, ma cosa tu puoi fare per l’Italia”. Una teoria “poco condivisa” ammette, anche tra le stesse fila del Cgie.

“In tempo di crisi dovrebbero rafforzare la Circoscrizione Estero, non indebolirla o cancellarla – decreta Coletta -. Hanno abolito l’Ice in un momento in cui l’Italia ha bisogno di esportare e sviluppare la sua economia; hanno ridimensionato i fondi destinati a lingua e cultura in un momento in cui c’è necessità di promuovere il made in Italy. Tutto questo non ha senso. A chi siamo in mano?” si chiede.
Coletta ha fiducia nella comunità italiana. È convinto che “se ci fosse una richiesta da parte dello Stato”, i connazionali all’estero “sarebbero disposti ad aiutare l’Italia” nel superare i momenti di crisi.

Certo devono essere incentivati: sapere di essere considerati, sentirsi parte di una terra che si estende dal Canada all’Australia, e più in là. Non una terra che li ricorda e li dimentica a tempi alterni, a seconda delle comodità del momento. Nessuno, infatti, si mobiliterebbe per una patria che non sente come sua.
Per ora comunque, la proposta è stata avanzata. E i rappresentanti delle comunità italiane in Venezuela scagliano contro essa parole di fuoco.
“È un sopruso – insorge Mariano Palazzo, presidente di Faiv – l’ennesima dimostrazione che questo governo non ci sta considerando”.

“È un tragico tornare indietro – gli fa eco Aurelio Pinto, consigliere regionale della Campania – una contraddizione che rischia di distrugge quello che avevamo conquistato con tanto sforzo”.
“È un’occasione già vinta che non possiamo perdere ora” rimarca Gabriella Marcacci, ex presidente dell’Associazione Abruzzesi.

“È assurdo – chiude il cerchio Rosario Puleo, presidente del Comites di Puerto Ordaz – dobbiamo manifestare, fare lobby e rispondere a questa provocazione che minaccia di cancellare anni di sacrifici”.
Mario Martinelli, membro del Comites di Caracas, si è già attivato: ha intenzione di incontrarsi la prossima settimana con gli altri consiglieri per discutere dell’ultima lancia scagliata dalla Lega, che spera finisca in un “niente di fatto”.

Franco Lualdi, presidente della Casa d’Italia della capitale, si allarga e per salvare l’Italia dalla bancarotta propone la cancellazione del Comites e del Cgie, che secondo lui “non danno un vero beneficio alla comunità” nostrana all’estero. Non è d’accordo Puleo, preoccupato di vedere i due organismi cancellati dall’esperienza italiana.

Insomma, un coro di ‘no’ diversificato ma deciso sovrasta il ministro Calderoli. Tutti sono convinti che ci sarebbe una miriade di riforme da discutere e sprechi da eliminare senza inficiare i diritti dei cittadini ma sono coscienti che, al momento di stringere la cinghia, “sono sempre i più deboli a rimetterci”, come afferma rassegnato Lualdi.

Dalla politica arriva anche qualche segnale positivo.
C’è infatti chi è arrivato a proporre ai colleghi parlamentari di rinunciare al 50% del proprio stipendio e alle indennità previste per i loro incarichi quali auto blu e voli aerei nazionali. Una ‘mezcla magica’ per dare un segnale al Paese, far capire che la situazione è grave e che i politici sono disposti ad affrontarla in condizioni simili a quelle dei cittadini.

La proposta arriva niente meno che dal senatore Esteban “Cacho” Caselli, eletto in Sud America con il Pdl e responsabile italiani nel mondo del partito. Personaggio chiaccherato, accusato di misteriosi legami con il clero, la dittatura argentina e l’assassinio di un fotoreporter; con il traffico illegale d’armi ed oro, la rete di protezione dei colpevoli dell’attentato alla Amia del ’94, (un’ottantina di morti e centinaia di feriti); indagato per brogli elettorali in Argentina (colpa di qualche scheda di troppo con il suo nome e la stessa calligrafia).
Insomma, un personaggio che non passa inosservato.

E se il senatore Caselli è disposto ad uno sforzo di tale mole, ugualmente devono scherarsi in prima linea cittadini, club e istituzioni italiane. Come? Sostenendo il meccanismo del voto. Garantendo l’accesso alle urne, la correttezza del procedimento, l’informazione sui temi in discussione. Promuovendo la lingua italiana, strumento ineludibile per esercitare una ‘cittadinanza attiva’.
Ricordiamo che gli italiani in Venezuela hanno fatto registrare la terzultima peggior affluenza alle urne (12,2%) nell’ultimo referendum. Un tasso decisamente inferiore alle medie fatte registrare nel resto dell’America latina e del mondo.

Chi, tra noi, aveva il compito di promuovere e difendere un diritto trascurato che ora rischia di perdere?
Mariano Palazzo si fa avanti con mea culpa e promette che, per la prossima tornata elettorale, eserciterà con Faiv un’azione informativa capillare sul territorio. Coletta è più sfiduciato ed incolpa tout court il Comites “che non informa”, il suo stesso Cgie “perchè in tre gatti riusciamo a fare poche cose” e il Consolato, “restio a fare informazione”.

Marcacci si scaglia contro i cittadini, “disaffezionati alla politica” mentre Puleo crede che nei club non si sia riusciti ad organizzare ‘giornate d’informazione’ politica perché questi, a causa dei costi, “si sono ormai aperti a tantissimi stranieri”, o almeno a quelli “in grado di pagare le quote”.
Una cosa ci consola. Al punto in cui siamo, le cose possono solo migliorare.