Borse nella tempesta, torna la paura

ROMA – E’ di nuovo tempesta sui mercati europei, e la borsa di Milano è la peggiore fra le piazze del vecchio continente mentre lo spread sui Btp italiani, alla vigilia dell’asta di domani, balza fino a 313 punti base. L’ennesimo taglio del rating greco, lo stallo prolungato che impedisce un accordo sul debito americano, le nuove incertezze sulla crisi della Grecia: tutti fattori che stanno facendo riaffiorare i timori di un effetto-domino in Europa.


A riaccendere la fuga degli investitori dai mercati europei ci pensa il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble.
– I leader europei – ha avvertito – non hanno certo dato ‘’carta bianca’’ al fondo Efsf per l’acquisto dei titoli di Stato.


Poche ore dopo, S&P taglia il rating greco a ‘C’, a due passi dal default, e preannuncia un rating ‘D’, da default vero e proprio. Non esattamente un tonico per le borse europee, colte in una spirale negativa iniziata in Asia e che prosegue a New York (-1,24% l’indice S&P). Milano è la peggiore in Europa con un -2,81%, seguita da Madrid (-1,93%), Parigi e Zurigo (-1,4%), Francoforte (-1,32%), Londra (-1,1%).
La pioggia di vendite è diffusa e prosegue da tre giorni. Pesano i segnali negativi sugli utili (Peugeot -7,5%, Merck -4,7%). Ma, soprattutto, sprofondano le banche (Santander -3,3%, Lloyds -4%) che a Milano determinano la seduta: non si salva nessuno, da Intesa SanPaolo (-5,1%) a Unicredit (-4,3%), dal Banco popolare (-5,37%) a Mediobanca (-4,93%) a Popolare Milano (-3,49%).


Il clima, anche in Italia, e’ tutt’altro che pre-festivo: stamani il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ha ricevuto il direttore generale del Tesoro e presidente del Comitato economico e finanziario europeo Vittorio Grilli. Come in un cocktail micidiale, a Schaeuble sono aggiunte le voci secondo cui il Fondo monetario internazionale sarebbe preoccupato per la crescente esposizione verso il debito europeo e starebbe addirittura pensando di ridurre la quota del suo contributo al nuovo salvataggio di Atene. Il risultato è un ennesimo capitombolo dei mercati finanziari: il franco svizzero è all’ennesimo record sul dollaro (0,7996) e l’euro è scivolato sotto 1,44 dollari.


La fuga verso beni rifugio premia l’oro, al nuovo massimo storico a 1.628,05 dollari, mentre i timori per la crescita colpiscono il petrolio (sotto 100 dollari). Ma è il mercato del debito quello dove si sente più forte la speculazione e la fuga di fondi e investitori. Il premio di rendimento pagato dai Btp decennali italiani torna a superare i 310 punti, azzerando i progressi fatti dopo l’accordo europeo che ha rafforzato il fondo salva-Stati e deciso un nuovo salvataggio di Atene. Le forti vendite toccano la Spagna (spread a 330), il Portogallo ((42), l’Irlanda (929).


L’Italia è al centro dell’attenzione in vista dell’appuntamento odierno, quando il Tesoro offre in asta il nuovo Btp triennale luglio 2014 (fra 2,5 e 3,5 miliardi), il decennale (2-3 miliardi) e due ‘CCTeu’ per un importo compreso tra 500 milioni e 1 miliardo ciascuno. In totale fanno 8,5 miliardi da vendere in un mercato difficile. Prova ne sia l’asta sui Btp decennali indicizzati all’inflazione, venduti per 942 milioni (nella parte alta del range compreso fra 500 milioni e un miliardo) ma a tassi balzati al 4,07% dal 2,51% di fine maggio. E la decisione delle banche specialiste di non sottoscrivere nemmeno un euro degli 1,5 miliardi offerti loro dal Tesoro nelle riaperture dei Bot e Ctz all’asta dell’altro ieri.

Banche solide ma… vittime della sfiducia


ROMA – Non hanno colpe, perlomeno quelle più gravi, ma le banche italiane, che pure avevano mostrato forte resistenza alla crisi, stanno pagando ora un alto prezzo a causa della forte sfiducia dei mercati nei confronti del sistema Italia, e dell’incertezza che ancora persiste a livello internazionale per le vicende Grecia e Stati Uniti. Bersagliate dalle vendite in Borsa, anche dopo una serie di giudizi negativi delle case d’affari, alle prese con una ripresa dell’economia nazionale che stenta a decollare e la necessità di accumulare più capitale per le regole di Basilea3, gli istituti di credito sono così in prima linea nell’attacco speculativo al nostro Paese.

In soli sei mesi l’indice del settore bancario a Piazza Affari ha perso il 31% contro un calo del 16% dell’indice principale di Milano. Nella sola giornata di ieri il calo è stato del 4,5% e molti titoli si sono visti ridurre i prezzi obiettivi dagli analisti. Anche i costi di rifinanziamento per il sistema bancario sono in crescita, rappresentando un ulteriore gap competitivo rispetto ai rivali europei. Eppure il comparto che era entrato nella crisi con una indubbia solidità (grazie anche alla mano ferma della sorveglianza della Banca d’Italia) ha approfittato del momento difficile per affrontare e in parte risolvere alcuni storici ‘nodi’ come i costi elevati e la bassa patrimonializzazione. I risultati degli stress test e la mancanza di interventi da parte dello Stato stanno a dimostrare che le banche non sono una della cause della sfiducia verso l’Italia da parte degli investitori internazionali, che puntano piuttosto il dito verso la bassa crescita del Paese e l’incertezza della politica, non ritenuta in grado di ridurre con decisione il debito.

Se le parole in questa direzione del governatore della Banca d’Italia Mario Draghi, dell’Abi o dei vertici delle banche possono essere una difesa giudicata naturale, anche in molti dei severi e criticati report di agenzie di rating o degli editoriali sulla stampa internazionale il comparto bancario viene citato come uno dei (pochi) elementi di forza del Paese. Eppure la tempesta sta colpendo più duramente proprio le banche. A Piazza Affari, perche’ i loro titoli sono i piu’ liquidi e quindi facilmente vendibili, e sui mercati di raccolta fondi a causa della crescita degli spread dei Btp sui Bund. Certo la crescita dei tassi Bce e dei rendimenti dei titoli di Stato aiuta a risollevare i margini, ma se la morsa della speculazione non si attenuerà anche la solidità del sistema comincerà a mostrare delle crepe.

2010 difficile, cala il numero degli occupati


ROMA – Il 2010 è stato difficile. Il numero degli occupati nel settore industriale è calato del 2,2%. Il settore dei servizi ha sofferto meno (-0,6%), consegnando così alle statistiche una riduzione complessiva dell’1,4%. Ma quest’anno non sarà di svolta. Il lavoro soffre ancora: la contrazione ulteriore sarà dell’1% sul settore manifatturiero, con punte del 2,3% al Sud. Il peso maggiore sarà per le industrie tessili e delle calzature, che perderanno il 2,2% dei lavoratori, e per le Pmi, che registreranno una contrazione dell’1,4%. E’ la fotografia a tinte fosche realizzata dalla Banca d’Italia che ha compiuto un’indagine sulle imprese industriali e dei servizi, nella quale si esamina non solo la situazione occupazionale, ma anche le aspettative, il fatturato, l’indebitamento delle società intervistate.

– 2010 DIFFICILE: La media d’anno mostra una flessione dell’1,4% rispetto all’anno precedente, il 2,2% nell’industria, lo 0,6% nelle imprese. A soffrire di più sono state le imprese del Nord-Ovest (-2,9%), seguite da quelle del Nord Est (-1,9%), da Centro e Sud (entrambe a -1,3%).

– CROLLO NON SI FERMA: Ma anche quest’anno il crollo occupazionale prosegue. Nessun miglioramento per l’industria che segna un ulteriore calo dell’1%. Ma come sempre la media non mette a fuoco dove più forte è la crisi. Dopo il Nord-Ovest quest’anno tocca al Sud, per il quale è stimato un calo del 2,3%. L’identikit dell’impresa con difficoltà occupazionali indica le imprese tra 50 e 200 dipendenti (-1,4%). Soffre di più il settore tessile (-2,2%) ma anche quelle metalmeccaniche registrano una flessione dell’1,2%, più alta di quelle della chimica (1%) e del settore energetico (-0,4%). Saldo zero, invece, è previsto per il settore dei servizi.

– CONTRATTI? A TERMINE: Il turn over del 2010 mostra che a fronte del 10,2% di cessazioni sul totale dell’occupazione, c’è stato una quota di assunzioni pari all’8,4%. Ma cambia la composizione del lavoro: tra le assunzioni ci sono il 3,4% a tempo indeterminato e il 5% a tempo determinato. Tra i motivi delle cessazioni, invece, quelle per fine contratto a termine erano pari al 4,8% del totale. Nel complesso i lavoratori a tempo determinato rappresentano il 7% del totale (l’8% nei servizi), gli interinali l’1,8% e gli stranieri il 5,2% (con una quota del 6% sul totale nei servizi e del 4,5% nell’industria).

– MA FATTURATO 2010 CRESCE: Il fatturato in termini reali è aumentato dell’1,1%; alla crescita delle imprese del settore industriale (+3,5%), in particolare quelle più orientate all’esportazione, si è contrapposta la flessione del settore terziario (-1,1%). E’ aumentata rispetto al 2009 la quota di imprese in utile (dal 53 al 57,8%) ed è al contempo diminuita quella delle imprese in perdita (dal 30,5 al 25,5%).

– INVESTIMENTI, 2011 IN CALO: Gli investimenti fissi lordi sono aumentati del 3,5% nel 2010 (0,7% nell’industria, 6,8% nei servizi) ma i programmi per il 2011 prefigurano una lieve flessione degli investimenti (-0,9%).

– PIU’ DEBITI: E’ risultato in lieve aumento il ricorso all’indebitamento bancario. Inoltre nei giudizi delle imprese prevalgono quelli che indicano un deterioramento delle condizioni di indebitamento tra la prima e la seconda metà del 2010. Il 19% delle imprese segnala un peggioramento, contro il 7,7% che segnala un miglioramento.

Agenzie nel mirino. Camera: «Denunciamole»


ROMA – Aggiotaggio e destabilizzazione del mercato dei titoli di Stato: sono le due accuse pesanti che la Commissione Finanze della Camera lancia all’indirizzo delle agenzie di rating. Questo insieme alla richiesta al Governo di denunciare le agenzie alla neo costituita European Securities Market Authority (Esma). Si apre dunque un nuovo fronte nella ‘guerra’ alle agenzie di rating accusate da più parti di non aver saputo prevedere la crisi economica, di averla in parte provocata e ora di aggravarla. Anche per interesse personale, dice ora Montecitorio.

La risoluzione (la prima firma è del capogruppo del Pdl Maurizio Bernardo, ma è sottoscritta anche da esponenti del Pd e della Lega Nord) è stata approvata all’unanimità dalla commissione e chiede anche all’esecutivo una iniziativa in sede Ue per dare vita ad una agenzia di rating europea. Ma intanto l’atto d’accusa è pesante e circostanziato: le agenzie, all’inizio della crisi, sono state ‘’incapaci nel valutare con il dovuto anticipo alcune patologie registratesi con riferimento ai mutui sub prime’’. Inoltre sono viziate ‘’da conflitti di interesse tra l’attività di valutazione svolta e la prestazione di servizi di consulenza nei confronti dei soggetti che emettono gli strumenti finanziari oggetto della loro valutazione’’. Questo anche perche’ ‘’i servizi di rating sono pagati dai soggetti che emettono i prodotti finanziari sottoposti al rating’’. E si aggiunga ‘’il sostanziale oligopolio esistente nel mercato dei servizi di rating’’ e ‘’l’insufficiente trasparenza nei meccanismi e nelle procedure per la realizzazione dei rating stessi’’.

Problemi che di recente hanno investito anche il nostro Paese con ‘’la diffusione, effettuata a mercati aperti, di un comunicato di Standard and Poor’s sulla manovra correttiva adottata dal Governo italiano, prima ancora della pubblicazione del testo definitivo della manovra stessa’’, che ha avuto ‘’gravi ripercussioni sull’andamento delle quotazioni in borsa’’. Tanto da provocare anche l’intervento della Consob; e poi il ‘’declassamento azzardato’’ da parte di Moody’s del ‘voto’ sul debito pubblico portoghese ‘’che ha prodotto effetti destabilizzanti sui mercati finanziari dell’intera zona euro’’. Insomma anche l’Italia, chiede la Commissione Finanze, si metta in prima fila in questa battaglia contro ‘valutazione-selvaggia’ e faccia sentire la sua voce. In realtà un coro: tanto che il dibattito sull’argomento è sempre ‘caldo’ in Europa, e la stessa Commissione ha di recente spiegato, parlando delle banche, ‘’vogliamo sopprimere il più possibile il riferimento sistematico al loro giudizio’’, delle agenzie.

Plaude Elio Lannutti dell’Idv che commenta:
– E’ tempo che l’Europa passi dalle parole ai fatti istituendo una propria agenzia di rating indipendente. E’ ormai evidente, infatti, che le tre sorelle del rating fanno parte, assieme alle banche di affari ed ai fondi speculativi, di una cricca economica con gravissime responsabilità che dovrebbe essere chiamata davanti ad un Tribunale internazionale a rispondere di crimini economici.