Caneficina in Siria, il regime spara sulla folla, più di 136 civili uccisi

DAMASCO – Ha i numeri di un vero e proprio massacro il bilancio dell’offensiva contro i manifestanti anti-governo lanciata ieri dalle forze di Damasco, proprio alla vigilia dell’inizio del mese di Ramadan. I gruppi per i diritti umani parlano di oltre 136 morti, principalmente ad Hama, la città martire contro cui l’esercito siriano ha lanciato l’attacco con i tank e l’artiglieria pesante, uccidendo almeno 100 persone.


La maggior parte delle vittime sono state freddate con un colpo alla testa, ha riportato al Jazeera. L’azione è scattata all’alba quando, dopo aver interrotto le forniture di acqua ed elettricità, truppe e carri armati hanno iniziato ad avanzare nel centro abitato di Hama. I cecchini si sono posizionati sugli edifici iniziando a sparare.
“Piovevano granate sopra la città, i soldati sparavano contro ogni cosa che si muovesse – è il drammatico racconto di uno degli attivisti – le persone si nascondevano sotto le scale degli edifici e nelle cantine per mettersi a riparo”. L’intenzione del regime di al Assad sembra quella di rafforzare la repressione prima dell’inizio, domani all’alba, del mese di Ramadan.
Sempre secondo gli attivisti le forze governative hanno circondato uno dei principali ospedali della città per impedire che venissero ricoverati i feriti.


“Il numero delle vittime cresce di minuto in minuto – ha detto alla Dpa Omar Idlibi, un attivista siriano rifugiato in Libano durante l’attacco – le bombe cadono continuamente sulla città e i soldati sparano a casaccio contro le case. L’esercito continua ad aumentare le forza ed impedisce alle persone di raggiungere l’ospedale”.
Non si tratta del primo bombardamento ad Hama durante la repressione: all’inizio di luglio, dopo una affollatissima manifestazione di protesta anti-governativa, i carri armati avevano circondato e bombardato la città.


“Hama è abituata ai massacri della famiglia Assad – ha detto un attivista riferendosi a quello condotto nel 1982 da Assad padre che portò alla morte di 20mila persone – ma a questa tirannia diciamo che più ci uccidete più siamo determinati a farvi cadere”.
Vittime dell’offensiva sono state registrate anche a Harak, nella provincia di Daraa, dove sono state uccise diverse persone, tra le quali una bambina di tre anni. Mentre sono almeno 19 le persone rimaste uccise, e decine i feriti, nella città orientale di Deir el Zour. Due persone sono state uccise nella città di Idlib.
Ad Harasta, periferia di Damasco, almeno 42 persone sono rimaste ferite dal lancio di bombe a frammentazione imbottite di chiodi.


I tank sono entrati in azione anche nel quartiere di Moadamiyya e le forze di sicurezza hanno lanciato gas lacrimogeni nel quartiere di Daraya, dove un migliaio di persone sono scese in piazza per dimostrare il sostegno alle città sotto attacco. A Zabadany, 8 soldati hanno defezionato dall’esercito.

Il racconto disperato di un testimone


ROMA – Hama è sprofondata nel terrore, “per strada ci sono solo gruppi di ragazzi che tentano di difendere il proprio quartiere, le case e i familiari, alzando barricate con tutto quello che trovano’’. E’ disperato il racconto di un testimone sul posto che descrive la città come il teatro di un “massacro”.
“Bisogna fermarli, i morti sono almeno 100”. E i feriti sono moltissimi, “molte donne e bambini”. Chi ha potuto si è chiuso in casa: “Si evita di uscire, di andare a piedi o di spostarsi in macchina. Da ogni angolo ti possono sparare addosso, lo sappiamo. E’ tutto chiuso, le scuole, i negozi, tutto’’.


“Dalle sei di questa mattina si sono sentite le cannonate in più parti della città. Sono andate avanti per tre ore – racconta il testimone che non vuole essere identificato per motivi di sicurezza – dopo però si sono udite sparatorie, a più riprese”. E poi precisa: “ma non era successo niente, non c’erano state particolari manifestazioni, o cortei, o niente del genere che avesse provocato questa reazione. Qui, come altrove, la gente grida ‘libertà’ uscendo dalla moschea. Sono spesso ragazzi e non sono armati, e ci sono manifestazioni dopo la preghiera del venerdì. Quelle non sono piaciute, perché qui sono scese in piazza fino a 300mila persone. Allora hanno attaccato oggi, alla vigilia del Ramadan’’.


L’azione più violenta sembra essersi concentrata nei quartieri centrali di Hama dove “i giovani stanno tentando di proteggere le loro famiglie, perché si teme che (le forze di sicurezza e la polizia segreta) vadano casa per casa, a prenderli uno per uno’’. In quei quartieri le forze del regime hanno tagliato le linee di comunicazione e l’elettricità. “Non so cosa succederà, non lo so immaginare – dice il testimone da Hama – ma anche se in questo momento non sento bombe, non sento spari, so che la gente è chiusa in casa, non credo che sia finita qui’’

Frattini: “Urgente riunione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu”. Obama: “Orrore”


ROMA – Una dura condanna al massacro è arrivata dal ministro degli Esteri italiano Franco Frattini, che si è appellato al governo siriano “per la cessazione immediata delle violenze contro i civili”. Il titolare della Farnesina – si legge in un comunicato – ha condannato duramente “questo ulteriore orribile atto di repressione violenta contro i manifestanti che protestano da giorni in maniera pacifica”.
– Chiediamo che si riunisca di urgenza il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite – ha detto Frattini – per prendere una posizione molto ferma.


Il ministro ha infine auspicato che in Siria si possa giungere ad una soluzione della crisi, che deve essere trovata attraverso l’attuazione delle riforme da parte del governo e tramite l’avvio di un dialogo inclusivo con l’opposizione.


Il ministro degli Esteri britannico William Hague, dichiarandosi “sconvolto dalle notizie che le forze siriane hanno attaccato Hama con i tank e l’artiglieria pesante’’ ha chiesto al presidente Assad di ‘’fermare subito questo attacco contro il proprio popolo”.
Una repressione “inaccettabile, in particolare alla vigilia dell’inizio del mese di Ramadan” ha dichiarato il ministro degli Esteri francese, Alain Juppé, condannando “con la massima fermezza” l’offensiva lanciata dal governo di Damasco.


Da parte sua, il portavoce dell’ambasciata statunitense a Damasco, JJ Harder, interpellato dalla Bbc: l’attacco delle forze governative siriane ad Hama è l’ultimo atto di disperazione del regime siriano. “Una guerra vera e propria”, ha aggiunto il diplomatico Usa, che il governo siriano scatena contro il proprio popolo.
Il presidente Usa Barack Obama ha espresso “orrore” per le violenze e ha chiesto alla comunita’ internazionale di isolare il presidente Assad.

Dal massacro dell’82 alle proteste del 2011, Hama è la città simbolo delle rivolte


ROMA – Il regime di Damasco è tornato a colpire la città di Hama già doloroso simbolo di rivolta e repressione nel Paese.


IL MASSACRO DELL’82 – Il presidente Hafez al-Assad, padre di Bashar, inviò le truppe nella città 200 km a nord di Damasco, per soffocare il dissenso allora guidato dalla formazione sunnita dei Fratelli musulmani, la cui roccaforte era diventata Hama, che avevano anche organizzato un attentato, fallito, contro di lui. La città vecchia fu rasa al suolo e il bilancio dell’intervento dell’esercito fu di decine di migliaia di morti: 20mila è la cifra rimasta alla storia, ma secondo alcune fonti furono molti di più, fino a 30mila su una popolazione di 350mila.


LE PROTESTE DEL 2011 – Con una popolazione di 800mila abitanti, Hama non si è rivelata da subito uno degli epicentri della protesta senza precedenti che da oltre 4 mesi percorre la Siria. Ma con il passare delle settimane, le manifestazioni in città si sono fatte sempre più massicce attirando l’attenzione delle forze di sicurezza intervenute a più riprese, fino allo scorso giugno quando, secondo attivisti dell’opposizione, le forze del regime hanno ucciso almeno 60 dimostranti. – Il 2 luglio scorso il presidente Bashar al Assad, nel tentativo di riportare la situazione sotto controllo, ha sollevato dall’incarico il governatore della provincia di Hama. Il gesto non ha placato la protesta che è scesa in piazza ancor più vigorosa il giorno dopo, così come hanno fatto a decine di migliaia contemporaneamente in tutto il Paese. – Con una simbolica presa di posizione solidale con la protesta, la prima del genere dall’inizio delle manifestazioni, l’ambasciatore Usa a Damasco e quello francese si sono recati l’8 luglio ad Hama nel tentativo di fare pressione su Assad affinché limitasse l’uso della forza. Il governo siriano ha risposto convocando i diplomatici due giorni dopo e ammonendo la loro condotta. Il giorno seguente sostenitori di Assad hanno preso d’assalto le ambasciate Di Usa e Francia a Damasco.