L’Emigrazione componente fondamentale della Storia d’Italia

ROMA – “L’emigrazione è una componente fondamentale della storia di questo Paese”. Non ha smesso di ripeterlo Alfredo Mantica, che, nella sua veste di sottosegretario agli Affari Esteri con delega per gli italiani nel mondo, ha aperto ieri mattina al Vittoriano di Roma il convegno su “Il ruolo dell’emigrazione italiana nell’unità nazionale”.


L’evento, che è proseguito per tutta la giornata nella sala Zanardelli del museo, è stato organizzato per fare il punto sul percorso che si è voluto tracciare inaugurando il 23 ottobre del 2009 il Museo nazionale dell’Emigrazione. Due anni dopo, in questo 2011 in cui si celebra il 150° anniversario dell’unità d’Italia, il Mei è riuscito “almeno in parte”, visto l’elevato numero di visitatori, soprattutto giovani e studenti, a dar voce a tutti gli italiani che, pur avendo lasciato il Paese, hanno avuto un ruolo determinante nel definirne l’identità e sono quindi parte essenziale della storia d’Italia.


Accompagnato dal direttore generale della Farnesina, Carla Zuppetti, ed introdotto dal cordinatore del comitato scientifico del Mei, Lorenzo Prencipe, il senatore Mantica ha analizzato la sfida di questi due anni di studio e ricerca al Vittoriano dal punto di vista politico, partendo dalla constatazione che “la storia dell’emigrazione è stata considerata – dalla letteratura e dall’opinione pubblica italiana – come qualcosa di cui vergognarsi e da dimenticare, perché appartenuta a momenti difficili della storia del Paese”. Con il diritto di voto attivo e passivo, si sono riportati gli italiani all’estero nella “dialettica” della politica italiana e si è “riaperto il dibattito per spiegare che l’emigrazione non è stata solo una storia di dolore, ma anche di grandi successi”, come testimoniato ieri in sala dalla presenza, fra i relatori, dell’ambasciatore dell’Argentina a Roma, Torcuato di Tella.


– I successi – ha proseguito Mantica – sono costati lacrime, sangue e fatica, ma sono stati ripagati dall’inserimento nelle società di accoglienza delle quali i nostri connazionali hanno costruito l’ossatura, contribuendo inoltre a rafforzare i legami tra Paese d’origine e di adozione.


E proprio lontano da casa, partiti con una coscienza veneta, siciliana, piemontese, insomma regionale, si sono riscoperti italiani, pur mantenendo valori e tradizioni – come i dialetti antichi ormai scomparsi in patria – del loro paese natio. Ed hanno contribuito con le loro rimesse alla ripresa economica di un Paese, l’Italia, che “li aveva lasciati andare altrove a cercare opportunità che qui non c’erano”. Come accade ancora oggi con quella “emigrazione in business class” con cui, ha ammonito Mantica, “dobbiamo misurarci”.


– Questa storia andava rappresentata – ha detto Mantica. Ed è da queste riflessioni che è nata la volontà di realizzare, tramite il Mei, una “testimonianza, che non vuole essere esaustiva” – 52 sono i musei dell’emigrazione a livello locale sparsi sul erritorio italiano, come quello “intimo” di Salina, allestito all’interno della casa di un emigrante -, bensì una opportunità per raccogliere all’interno di un unico contenitore le diverse testimonianze della nostra emigrazione. Sino al momento in cui, negli anni Settanta del Novecento, il saldo tra emigrazione ed immigrazione si è invertito: il Mei racconta anche questo lungo il percorso espositivo del museo i volti dei nostri connazionali si fondono infine con quelli dei nuovi immigrati. D’altra parte, ha osservato il sottosegretario Mantica, “l’Italia è un Paese cresciuto e costruito sulle diversità”.


Nel 150° dell’Italia unita il Mei rappresenta dunque quel “riconoscimento ufficiale”, come lo ha definito il direttore del Museo, Alessandro Nicosia, che ancora mancava per una parte importante della nostra storia, quella dell’emigrazione, nonché un “utile strumento di sensibilizzazione”, specie tra le nuove generazioni, per “non disperdere la memoria storica di un esodo”, che pure hanno comnpiuto in “29 milioni di operai, contadini e imprenditori”, ma anche donne al loro seguito e missionari, che, al pari dei patrioti del Risorgimento, tanta parte hanno avuto nella formazione dell’identità italiana, contribuendo a”formare quello che siamo oggi”.


Per Nicosia, “la conoscenza della nostra emigrazione è il più valido strumento che abbiamo contro il razzismo e la xenofobia e per affrontare positivamente le nuove sfide che i processi migratori ci pongono innanzi”. Anche per questo, ha detto, “la chiusura permanente” del museo – e il rischio c’è a causa della mancanza di fondi -, proprio alla fine del 150° anniversario dell’unificazione, “sarebbe gravissima”.


Tanto più perché il Mei è stato fortemente voluto e apprezzato anche dalle associazioni italiane all’estero, come ha avuto modo di constatare Lorenzo Prencipe durante alcuni suoi viaggi in Europa.