Egitto al voto tra caos e tensione

Lo scorso 11 febbraio l’ex presidente egiziano Hosni Mubarak si è visto costretto a rassegnare le proprie dimissioni in seguito alle rivolte scoppiate in Egitto, sulla scia di quella che è stata definita la “primavera araba”. Piazza Tahrir, teatro e luogo simbolo delle sollevazioni popolari, ha accolto con manifestazioni di giubilo la chiusura di un’era durata circa 30 anni. Il vuoto politico creatosi all’indomani della caduta del “faraone” è stato fino ad oggi colmato dal Consiglio supremo delle forze armate, attualmente alla guida del Paese. Il 28 novembre 2011 sarà dunque una data decisiva per il popolo egiziano, chiamato alle urne al fine di decidere democraticamente del proprio destino.

La storica prospettiva di un radicale cambiamento cela tuttavia numerose insidie. Lo scenario delle elezioni in Egitto è, e presumibilmente continuerà ad essere, caratterizzato da livelli di tensione altissimi. Le piazze e le strade della capitale sono infatti presidiate, già da svariati giorni, da una folla insoddisfatta che chiede alla giunta militare di fare un passo indietro. Lo sdegno maturato nei confronti dei vertici delle forze armate è figlio di una vergogna intollerabile per il popolo egiziano: quello di avere ucciso gli stessi uomini e le stesse donne che avevano prestato il loro aiuto ed il loro supporto nella fase di liberazione dal regime di Mubarak.
Lasciare il potere ora significherebbe «tradire» il Paese. «Il nostro obiettivo non è quello di lasciare il potere o di restare al potere, ma di rispettare il nostro impegno nei confronti degli egiziani». Con questa dichiarazione, rilasciata nel corso di una conferenza stampa, il generale Moukhtar el-Moullah ha lasciato intravedere il binario lungo il quale la giunta militare intende proseguire la propria azione di governo. Contestualmente a queste affermazioni, è arrivata altresì la nomina del nuovo primo ministro, Kamal Ganzouri, cui è stato affidato l’incarico di formare il prossimo esecutivo. Il nuovo premier, considerato un ex fedelissimo di Mubarak, è già stato in passato protagonista della scena politica del Paese durante gli anni della sua presidenza. Questa decisione ha avuto l’effetto di surriscaldare ulteriormente gli animi dei manifestanti, tra cui inizia a farsi strada l’idea che l’esercito voglia in questo modo mantenere il potere indefinitamente.

Caos e tensione dunque sullo sfondo di questa storica tornata elettorale. Anche le cifre sembrano fornire un ulteriore conferma in merito. 15 mila candidati per 508 seggi in Parlamento. 8.600 indipendenti, liberi da qualsiasi tipo di affiliazione ideologica. 47 partiti in gioco. Altrettanto confusionari sembrano essere infine i contenuti relativi ad i programmi, ed i legami tra gli stessi nomi presenti nelle diverse liste politiche.
L’Alleanza Democratica dei Fratelli Musulmani sembra essere la formazione favorita per conquistare il maggior numero di voti, con i suoi 500 e più candidati in tutto il Paese.

Quello del 28 novembre è soltanto il primo dei tre appuntamenti che la giunta militare ha previsto per l’elezione della Camera bassa del Parlamento. Gli egiziani saranno chiamati nuovamente alle urne il 29 gennaio e l’11 marzo del prossimo anno.

Questa misteriosa fase di transizione sembra dunque tradire le enormi aspettative legate alla “primavera araba”. Tra queste non è possibile non citare quella relativa alla posizione della donna nel quadro di una società più democratica. A tale proposito, il premio Nobel per la pace Shirin Ebadi ha dichiarato, nel corso di un’intervista rilasciata a Roma dove si trovava in occasione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, che a suo giudizio «non basta destituire un dittatore per fare la rivoluzione. La primavera arriverà solo il giorno in cui avremo sistemi democratici, che assicurino anche pari diritti a uomini e donne. La visione predominante dell’universo femminile nei Paesi di religione musulmana è miope. Si pensa che siano tutte in casa ed accettino incondizionatamente questa situazione. In Iran, dopo le presidenziali del 2009, c’erano moltissime donne in prima fila per strada a protestare. Oggi in Egitto a piazza Tahrir è lo stesso ed i militari hanno arrestato molte di loro sottoponendole a vessazioni».

Quanto sta accadendo sembra dunque non coincidere con quell’idea di rivoluzione per la quale molti egiziani hanno deciso di combattere, di soffrire ed, in taluni casi, addirittura di morire. L’esclamazione occidentale, secondo la quale si sarebbe aperto uno spiraglio per un mondo migliore, sembra dunque vacillare di fronte ad un quadro tanto incerto. E’ auspicabile che i principi che hanno ispirato la “primavera araba” possano materializzarsi nello scenario più solido di un’architettura istituzionale finalmente e completamente democratica.