La Piccola Venezia

Quanto è bello il Venezuela: la gente balla, ride canta e sembra non preoccuparsi dei problemi che ci sono in giro! Questo era il commento che più frequentemente mi veniva indirizzato da amici di famiglia che avevano speso del tempo oppure che avevano visitato il Paese. Si trattava di persone dell’Italia del sud, soprattutto della Campania che, oltre ad essere una regione calda e ricca di storia e di storie, è anche la regione da cui provengo. Da quando vivo a Caracas sto conoscendo tante persone; particolarmente interessante è stato l’incontro con il direttore del giornale, il quale mi ha offerto di scrivere questa che sarà una mia riflessione settimanale su La voce d’Italia che accompagnerà voi amici lettori.


Senza perdere tempo in superflue presentazioni, vi confesso che, pur avendo una formazione in materie scientifiche, devo a mia madre la passione per la letteratura e la scrittura; una professoressa di lettere felicemente sposata con mio padre, ma ancor più felicemente e profondamente innamorata di Dante Alighieri, il sommo poeta che la ispira ed illumina continuamente. My way, questo il nome della rubrica, vi proporrà un’analisi irriverente, semiseria e a tratti pungente degli eventi di attualità legati al mondo che ci circonda, con l’obiettivo di analizzare gli stessi sotto diverse prospettive, cercando di offrirvi degli spunti di riflessione originali e poco convenzionali.


Lasciatemi enunciare, in questo primo articolo, un po’ di cose che mi hanno colpito del Venezuela. Ci sarà tempo per affrontare la scottante e temibile attualità che tanto ci preoccupa. Anche se non è da tanto che vivo in Venezuela, devo ammettere che l’italianità si sente e si percepisce con forza, nelle abitudini e nei prodotti importati e commercializzati, e non credo che tale influenza sia inferiore a quella spagnola o portoghese, tutt’altro. Tuttavia, mentre l’Italia è un Paese sempre radicato nelle sue tradizioni secolari che cambiano da nord a sud e addirittura tra paese e paese, il Venezuela è la pentola che contiene tutte queste differenze, mischiandole e aggiungendo quel tocco di umorismo e di simpatia che viene forse dal clima, forse dai ritmi caraibici o, probabilmente, da entrambi i fattori. D’altronde, i piatti che troviamo nei ristoranti del Venezuela testimoniano l’esistenza di tale miscuglio originale e, a tratti, bizzarro.


Mi sento di poter consigliare a qualunque straniero che decidesse di venire a vivere in Venezuela, di rinunciare ad un buon quantitativo di bon ton e di galateo per accettare, con stupore ma con un certo piacere, di essere oggetto di battute, vuoi per l’accento, vuoi per quel lato buffo che si annida in ciascuno di noi, senza mai però sentirsi deriso o maltrattato. Il popolo venezuelano potrà avere tanti difetti ma in questo è maestro: pronto da sempre ad accogliere chiunque, senza alcun pregiudizio ed alcuna distinzione. In fatto di tolleranza il mio Paese nativo ha ancora tanto da imparare dalla piccola Venezia che il nostro Cristoforo Colombo scoprì tanti anni fa. Da parte mia prometto, per contraccambiare la calorosa accoglienza ricevuta, d’imparare ed apprezzare, fra non molto, le regole, i ritmi e l’emozione della lentezza del baseball.