Una strana giornata di giubilo

La ‘cultura’ è un sostantivo che può essere usato in diversi contesti, a seconda del concetto che vogliamo esprimere. Ad ogni modo, tutti possiamo concordare sul fatto che con il termine cultura intendiamo quell’insieme di valori, costumi, modi di fare e di essere che sono condivisi, accettati e nei quali una comunità, un gruppo di persone, si riconosce e s‘identifica.


La settimana scorsa, il sette dicembre 2011, è stato catturato il numero uno della camorra, Michele Zagaria, nel suo paesino di Casapesenna, in Campania. E’ importante indicare con precisione la data della cattura, poiché Zagaria era latitante dal lontano 1995. Per dare una dimensione temporale che si avvicini di più alla nostra memoria popolare, il 1995 era l’anno immediatamente successivo a quello in cui si giocarono mondiali di calcio di USA ’94, quelli del rigore sbagliato da Roberto Baggio: tanto tempo fa.


Ebbene, guardando le immagini in televisione, sono rimasto tristemente colpito dalle dichiarazioni agghiaccianti della gente del posto, intervistata per commentare la cattura del superlatitante di quella che è la più grande organizzazione criminale italiana, insieme con la ‘ndrangheta e la mafia. Nei volti delle persone intervistate, non c’era un’espressione di giubilo, di liberazione, di allegria; tutt’altro, il sentimento che oltrepassava l’arido schermo televisivo era quello dell’incertezza, del timore per il futuro o addirittura del rimpianto per aver perso un punto di riferimento che da tanto tempo ormai dominava il territorio. Non a caso Zagaria viveva da anni sempre nel suo paesino di appena settemila anime; non solo per esercitare un maggior controllo sui suoi affari, ma soprattutto per far sì che la gente respirasse e si sentisse giorno e notte avvolta in quella cappa di intimidazione, di ricatti e di morte.


La forza dei clan non risiede solo nelle armi, nell’enorme liquidità proveniente dagli affari illeciti e dalla gestione del narcotraffico, ma soprattutto nella sua forte cultura. Da sempre la camorra, molto più della mafia e della ‘ndrangheta, ha nel simbolismo, nei rituali, negli atteggiamenti spavaldi e svergonati dei suoi capi criminali, le sue armi più feroci e spietate. Tutto ciò rende molto agevole il compito di arruolare nuove leve, pronte e disposte a tutto; i camorristi riescono a far sentire i giovani del posto parte di qualcosa d’importante, di grande, persino di corretto e di giusto; qualcosa in cui identificarsi e per cui lottare fino alla morte.


Si capisce, perciò, quanto ardua e complessa sia l’attuazione di una strategia di cambio culturale nei territori di camorra. Tuttavia, non è per nulla impossibile sconfiggere questo cancro così tremendo e longevo a patto, certo, che lo si voglia debellare davvero. In altre parole, mi chiedo se c’è davvero, nell’agenda politica, un piano strategico strutturato che abbia come unico fine la soppressione di tale virus, o se, invece, si pensi soltanto ad incerottare un paziente ormai affetto da metastasi in tutto il corpo.


Tanto per capirci, quello di Falcone e Borsellino sì era un approccio strategico: un pool di magistrati impegnati esclusivamente a debellare la mafia. La strategia era giusta e vincente ma il tutto terminò con l’assassinio di entrambi. E la cosa più triste è che essi percepirono il momento in cui lo Stato li stava abbandonando dando il via libera, di fatto, alla loro condanna a morte. Purtroppo, le organizzazioni criminali nascono dalle crepe e dalle faglie dello Stato, per poi allargarsi fino ad alterare completamente la morfologia e la struttura stessa di una nazione.


Bisognerebbe intraprendere di nuovo la strada che Falcone aveva indicato ed implementarla. Si dovrebbe studiare nei dettagli una sorta di piano speciale anti-camorra, in grado di calcolare tutte le azioni da intraprendere, dal controllo sulle attività delle forze dell’ordine sui territori critici, con gli appropriati sistemi di incentivi, fino ai minimi dettagli. Infine, bisognerebbe far sentire in maniera forte la presenza dello Stato, adottando quei simbolismi, quei comportamenti e tutte quelle iniziative volte a sconfiggere il più grande nemico che si annida negli animi degli abitanti di quelle terre: la convinzione, unita alla rassegnazione, che, non importa quello che succeda nel mondo, nulla e nessuno potrà mai cambiare lo stato attuale delle cose nelle territori di camorra. E’ doveroso farlo, perché sono sicuro che anche quelle persone che sembravano dispiaciute per la cattura del ‘loro’ boss, in cuor loro gioissero, coltivando la speranza che la loro terra potesse ritornare ad essere quella ‘Campania Felix (prosperosa)’ tanto lodata da Plinio il Vecchio più di duemila anni or sono.