La storia di chi ce l’ha fatta

ROMA: Storie di chi ha sofferto ma ha deciso di combattere. Avventure a lieto fine la maggior parte, raccolte e consultabili su Migrador, il primo museo virtuale sull’immigrazione in Italia. Da un’idea di Martino Pillitteri, giornalista e direttore creativo del progetto, Migrador  vuole abbattere gli stereotipi sugli immigrati e raccontare la vita di chi ha scelto il nostro Paese per realizzare i propri sogni. «E’ composto da tesori sotto forma di storie, di esperienze, di linguaggi, di idee, di coraggio, di sacrificio, di colori, di sapori, di competenze di migliaia di persone senza volto e senza nome che hanno vinto una grande sfida: iniziare una nuova vita in un altro ambiente, in un’altra lingua e con codici culturali diversi.»

Come  Alexy Urteaga, peruviana, di 44 anni, cresciuta a La Oroya. «Economicamente stavamo bene – scrive – ma volevo vivere la mia vita, studiare e lavorare, lontano dai miei.» Così si trasferisce a Milano. E dopo aver lavorato in un fast food, aiutato le suore nelle mansioni domestiche in cambio di vitto e alloggio in un convento, diventa baby sitter, ma non si accontenta: vuole studiare da imprenditrice.«Non ci misi tanto a capire che non ero arrivata dal Perù per fare quel lavoro.» E così dopo tante difficoltà apre “Ciao tata”, una ludoteca che dà lavoro, da cinque anni, a sua sorella e «a sei- sette persone che a turno gestiscono i progetti. Mi rende fiera il fatto di aver cominciato nel pieno della crisi.» Aggiunge: «Credere in quello che si fa, è forse la migliore lezione che ho imparato dalla mia vita, soprattutto in Italia.»

“I racconti di Migrador” non è l’unica sezione presente sul sito. Il portale offre una galleria fotografica, video-interviste, appuntamenti; un percorso multimediale dove ognuno è protagonista nella “storia del giorno”. «Dando loro voce, chiamandoli per nome, guardando i loro volti e ascoltando ciò che hanno da raccontare.» Nella speranza – per il suo ideatore – che a qualcuno piaccia l’idea e il museo diventi presto uno spazio reale . «Manca in Italia un museo dell’immigrazione. Certo, è presente a Lampedusa, ma rimanda a storie negative.»  Il modello di riferimento è il museo di Ellis Island a New York, che impressionò Pillitteri durante un viaggio negli Stati Uniti. Non solo foto, ma oggetti, valigie, vestiti narrano la storia dei migranti europei in viaggio verso il sogno americano. Migrador offre in più un codice comunicativo differente. «C’è un certo vittimismo da parte di alcuni immigrati che si adagiano sulle loro sfortune e dall’altra parte un atteggiamento denigratorio nei loro confronti. Ho voluto superare questi due  livelli comunicativi e  e raccontare le storie difficili di chi con sacrificio e impegno ce l’ha fatta.» Un linguaggio nuovo che restituisce  un’altra immagine dell’Italia: un Paese difficile, pieno di contraddizioni, che sta vivendo una crisi economico-sociale drammatica. Ma che sa essere anche accogliente.

«Non c’è ideologia, non c’è autoreferenzialità, non c’è vittimismo» – aggiunge Pillitteri.  Spaccati di vita reali. Ma anche dell’immaginazione. Una volta al mese Migrador dà spazio a storie inventate,narrate dal futuro. L’obiettivo è coinvolgere le scuole elementari nella redazione dei racconti, e quello di raccogliere i più creativi in un e-book.

«Alcune storie ed esperienze superano anche la nostra immaginazione. Altre hanno la capacità di saper raccontare la storia del Paese mentre cambia, noi crediamo per il meglio. Chi lo avrebbe mai detto – conclude il fondatore – che una immigrata dallo Sri Lanka, Greta Liynnwela, sarebbe riuscita a costruire a Milano il primo tempio buddista in Italia?» (Laura Polverari/Voce)

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