Fornero ai sindacati: «Senza sì niente paccata di miliardi»

Roma – “Mi risulta molto difficile capire che i sindacati non si dichiarino d’accordo su una riforma del lavoro che prevede inclusione e universalità di ammortizzatori sociali. Avrei voluto sentire una piccola parola di apprezzamento ma non ne ho sentita neanche mezza”. All’indomani dell’incontro con le parti sociali, il ministro del Lavoro Elsa Fornero sfida i sindacati, che non avevano nascosto la loro delusione sui nuovi ammortizzatori sociali annunciati dal Governo.
Il terreno è quello della copertura finanziaria, su cui il Governo non ha fornito cifre.
– E’ chiaro – ha detto la ministro – che se c’è un accordo più avanzato mi impegno a trovare risorse più adeguate e fare in modo che questo meccanismo degli ammortizzatori sociali e questo mercato del lavoro funzionino abbastanza bene. Ma è altrettanto chiaro – puntualizza – che ‘se uno comincia con il dire no perché dovremmo mettere lì una paccata di miliardi? Non si fa così.
Fornero rivendica al suo ministero, e al suo governo, la decisione di finanziare comunque la riforma degli ammortizzatori senza tagliare la spesa sociale.
– Mi sono impegnata a che le risorse non vengano tolte dall’assistenza – ha sottolineato -. Mi sembra che sia un buon impegno.
Obiettivo di questa riforma del lavoro, spiega Fornero, ‘’smantellare le protezioni che si sono costituite, che si sono stratificate profondamente, motivate apparentemente da buonissimi principi ma con implicazioni di conservatorismo molto forti, fino alla difesa di privilegi”.
– Il mercato del lavoro deve essere dinamico dove per dinamismo si intende una relativa facilità in entrata e una relativa maggiore facilità in uscita ma non verso la pensione che con la riforma non è più possibile – spiega a margine di un convegno al ministero degli Esteri. Un mercato del lavoro, dunque, dinamico.
– Cioè che non mette barriere perchè un mercato molto protetto crea segmentazione e bisogna cambiarlo mentre i mercati dinamici funzionano meglio – aggiunge ribadendo però come i lavoratori che usciranno dal mercato del lavoro non saranno lasciati soli -. Ci sarà un buon sistema di ammortizzatori sociali. E di questo stiamo parlando; di una nuova assicurazione sociale per il reimpiego che considera le persone non come disoccupati ma come soggetti che al momento non hanno un lavoro e cerca di aiutarli a rafforzare il proprio capitale umano erogando, nel frattempo, un’indennità che dovrebbe consentirgli di trovare un’altra occupazione.
L’altolà del ministro arriva dopo le critiche dei sindacati con il numero uno della Cgil Susanna Camusso che parla di ‘’passo indietro’’.
– Il problema – spiega Camusso – non sono le date (i nuovi ammortizzatori entreranno a regime nel 2015 ndr), è il merito delle proposte.
Secondo la Camusso quella messa sul tavolo lunedì scaorso dal Governo “non ha le caratteristiche di un ammortizzatore universale perché non si includono persone che oggi non hanno accesso all’indennità di disoccupazione, rappresenta invece una riduzione delle tutele rispetto a quelle attuali e quindi da questo punto di vista abbiamo assistito a un passo indietro rispetto alle stesse dichiarazioni che aveva fatto il governo per l’applicazione dei sussidi”.
Duro anche il segretario della Cisl Raffaele Bonanni. Se il governo non fa un passo indietro nella trattativa sulla mobilità, “si prende la responsabilità di una rottura sociale nel Paese, che noi non vogliamo”.
– Non ci siamo proprio – ha detto Bonanni -. Una mobilità ridotta per tempo, della metà, e così anche nella parte economica, significa mettere in ginocchio la gente, quella gente – ha sottolineato – che deve andare più tardi in pensione, che è cacciata fuori dalle aziende per delocalizzazioni, per chiusure fallimenti e tutto quello che conosciamo nelle varie parti d’Italia.

Nodo ammortizzatori tra costi e risorse
ROMA – Potrebbe non costare una ‘’paccata di miliardi’’ la riforma del mercato del lavoro allo studio del Governo. Così come è stata presentata ai sindacati la riforma degli ammortizzatori sociali potrebbe essere quasi a costo zero rispetto al saldo attuale tra entrate e uscite. La riforma infatti, secondo quanto spiegano i sindacati, prevede un aumento delle entrate contributive mentre, per quanto riguarda le uscite, l’impatto dovrebbe essere molto limitato. Ecco in sintesi come potrebbero cambiare le cose:
– INDENNITA’ DI DISOCCUPAZIONE: al momento tutte le aziende pagano l’1,31% della retribuzione ad eccetto di quelle artigiane che pagano per i loro dipendenti solo lo 0,40% e quelle di alcuni settori dei pubblici esercizi (bar, ristoranti, ecc) che pagano lo 0,18% del monte retributivo. Per finanziare il nuovo sussidio il contributo dovrebbe passare all’1,3% per tutti (anche per le retribuzioni degli apprendisti che adesso sono esenti) con un contributo aggiuntivo per i contratti a termine (1,4%).
Il nuovo sussidio (Ispi) dovrebbe valere il 70% della retribuzione (a fronte del 60% attuale) per gli stipendi lordi fino a 1.250 euro (ma il calcolo non sarà fatto sull’ultimo stipendio ma su quelli degli ultimi due anni). Per la parte superiore ai 1.250 euro si prenderà solo il 30% (quindi ad esempio su una retribuzione lorda di 2.000 euro si prendono per i primi sei mesi 1.100 euro lordi). E’ previsto comunque un tetto di 1.119 euro lordi (1.053 netti) che è attualmente il tetto massimo previsto per la cassa integrazione e la mobilità. La durata del sussidio sarebbe più lunga dell’attuale (al massimo 12 mesi per gli over 50) con la possibilità di arrivare a 18 mesi per gli ultra 55enni ma con un taglio del 15% dopo i primi sei mesi e di un altro 15% dopo i sei mesi successivi (il decalage e’ previsto anche per il sussidio di disoccupazione attuale).
MOBILITA’: l’indennità di mobilità dovrebbe sparire con il passaggio al nuovo sussidio di disoccupazione. Al momento la mobilità può essere utilizzata dalle aziende industriali e cooperative con più di 15 dipendenti o da quelle commerciali con più di 200 dipendenti. L’indennità erogabile in caso di licenziamenti collettivi può durare fino a 48 mesi (nel caso di ultracinquantenni di aziende nel Sud) e per questi lavoratori quindi ci sarebbe una drastica riduzione della protezione dalla disoccupazione. Per questo strumento le aziende pagano al momento lo 0,30% della retribuzione e questo contributo potrebbe saltare. Per la mobilità il saldo negativo tra entrate e uscite è stato nel 2010 di 1,590 miliardi di euro.
CASSA INTEGRAZIONE: sarà ancora possibile utilizzare la cassa integrazione (mantenendo naturalmente la contribuzione attuale) ma solo nei casi in cui è previsto un rientro in azienda. La cassa straordinaria potrà essere utilizzata solo in caso di ristrutturazione e riconversione aziendale ma non in quelli di chiusura dell’attività (come nel caso dello stabilimento Fiat di Termini Imerese, ndr).

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