Tadic e Nikolic al ballottaggio

BELGRADO – Il capo di Stato uscente e leader del Partito democratico, Boris Tadic, e il nazionalista Tomislav Nikolic, leader del Partito progressista serbo, andranno al ballottaggio delle presidenziali in Serbia. Secondo i primi risultati dello scrutinio diffusi dal Centro per la democrazia e le libertà democratiche (CeSID), un istituto di monitoraggio indipendente che ha seguito il voto nel paese balcanico, per le presidenziali saranno Tadic e Nikolic – nessuno dei quali ha raggiunto il 50% più uno dei voti – ad affrontarsi nel ballottaggio decisivo del 20 maggio. Tadic ha raccolto in questo primo turno il 26,8% dei consensi, Nikolic il 25,6%. I primi dati anch’essi molto parziali del voto legislativo vedono in testa il Partito del progresso serbo (Sns, conservatore) di Nikolic con il 24,7% rispetto al 23,2% del Partito democratico (Ds) di Tadic.

L’affluenza, come riferito da CeSID, è stata del 58,7%, in calo rispetto al 61,35 del voto precedente del 2008. Tra gli altri candidati alla presidenza, in terza posizione alle spalle di Tadic e Nikolic si è piazzato il ministro dell’interno Ivica Dacic con un ottimo 15,2%, seguito dall’ex premier conservatore Vojislav Kostunica con il 7,7%, il ministro della sanità Zoran Stankovic al 7,1%, il leader liberaldemocratico Cedomir Jovanovic con il 5,3%. Percentuali minori hanno ottenuto Jadranka Seselj, moglie del leader ultranazionalista Vojislav Seselj sotto processo per crimini di guerra al Tribunale dell’Aja (Tpi), con il 3,9%, e il muftì del Sangiaccatol Muamer Zukorlic con l’1,1%. Sarà la terza volta che Tadic e Nikolic si affrontano in un ballottaggio per la presidenza. Nelle due sfide precedenti – nel 2004 e nel 2008 – Tadic aveva sconfitto l’esponente conservatore, un ex ultranazionalista braccio destro di Seselj che nel 2008 ha lasciato il Partito radicale serbo (Srs, estremista) per creare una formazione più moderata e presentabile. Nikolic ha anche accettato l’opzione europea della Serbia. La campagna elettorale di Boris Tadic è stata tutta centrata sulla necessità di proseguire il programma di riforme necessario al paese a progredire sulla strada verso l’Unione europea, dalla quale Belgrado ha ottenuto in marzo lo status di paese candidato. Del resto il presidente uscente, che si è dimesso anticipatamente rispetto alla scadenza del mandato nel febbraio 2013 per accorpare le presidenziali con le legislative e risparmiare fondi in tempo di crisi, è apprezzato e stimato in Occidente e alla Ue, indicato come colui che ha tolto la Serbia da un lungo isolamento.

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