Al Giro è nata una stella: “Milano inocorona Hesjeal”

MILANO – Non era imbattibile, ma ha vinto lo stesso. Ryder Hesjedal è stato irriverente e più forte dello Stelvio, del Mortirolo, dell’Alpe di Pampeago, di Cervinia.

Ha pedalato contro il freddo, sull’asfalto viscido, ha saputo gestirsi, dosare le energie, ha visto sprofondare nel sudore e nella fatica gli avversari. Alla fine, Milano ha incoronato per la prima volta un canadese (secondo americano dopo Andy Hampsten).

Il guastafeste nordamericano ha spodestato, al termine della cronometro di oggi, lo spagnolo Joaquin Rodriguez e si è preso con una zampata la maglia rosa. Questa volta definitivamente. E’ stato implacabile, nei chilometri che lo separavano dalla piazza del Castello Sforzesco al Duomo, disegnando con precisione chirurgica le traiettorie, tagliando curve e rischiando. Era consapevole, Ryder, che ‘il piccolo sigaro’ catalano Rodriguez avrebbe dato tutto. Forse anche di più.

Ieri lo aveva avvertito, Rodriguez, che era disposto a vendere l’anima pur di tenersi la maglia rosa. Non è bastato. Il re del Giro è lui, Hesjedal, ex biker e provetto surfista; non uno scalatore, non ne ha il fisico, ma un uomo forte. Un antidivo, se si vuole, che ha creduto nella fatica e solo in una circostanza è stato forse messo alle corde: ieri, sulle ultime rampe di uno Stelvio innevato d ‘Coppiana’ memoria. Già, perché a Pampeago aveva fatto la parte del leone, neutralizzando sul nascere tutti gli scatti e azzerando le velleità dei rivali più agguerriti: da Scarponi a Rodriguez, da Cunego (che creava scompiglio, nel tentativo di favorito il compagno della Lampre) a De Gendt, che ieri la maglia l’ha pure sfiorata. Non l’ha impensierito Basso, che pure sembrava il più sicuro di sé nel giorno del riposo, quando aveva promesso battaglia “nelle montagne senza vegetazione”.

E di vegetazione ieri sullo Stelvio non c’era per niente: solo tifosi. Basso, però, è mancato, riconoscendo onestamente i meriti alla concorrenza: a Rodriguez e soprattutto ad Hesjedal, che preparava questo Giro dall’autunno, ma è stato fatalmente sottovalutato.

“Prima o poi – si sussurrava in carovana – crollerà”. Invece sono crollati gli altri e, alla fine, poco dopo il traguardo della cronometro di Milano, oggi ‘Easy Ryder’ ha abbracciato e baciato sua moglie Ashley, con la quale si allena. E’ stato un bacio liberatorio, il suo, al termine di oltre 3.500 contrassegnati da soli16”di distacco fra la maglia rosa e il secondo classificato. Onore a Rodriguez e a chi, come Cavendish, é riuscito ad arrivare fino alla fine, vedendo sfumare per un solo punto la maglia rossa di leader della classifica a punti.

Quanti velocisti avrebbero sofferto come il britannico, dopo avetre vinto tre tappe? Onore alla fatica dei 198 corridori partiti dalla Danimarca e poi rimasti in poco più di 160. Non è stato un Giro bellissimo, esaltante, ma avvincente. Quello si. E’ stata una corsa che ha portato alla ribalta un campione dalla faccia pulita e che non mancherà di alimentare sospetti sulla sua carriera.

Perché è venuto fuori a quasi 32 anni, questo Hesjedal? In un Giro dove non c’era un uomo da battere, alla fine, la rosa piena di spine, è stata colta da un canadese, per la prima volta eroe in un corsa a tappe così densa di storia, di volti, di protagonisti.

Una corsa che valeva la pena di vincere e che, nonostante l’assenza di molti campioni, primo fra tutti l’italiano Vincenzo Nibali (l’unico corridore in grado di salire concretamente sul gradino più alto del podio), mantiene intatto il proprio fascino. Ha vinto Hesjedal e allora viva il canadese, ma il ciclismo italiano – a poco più di un mese dalle Olimpiadi di Londra – esce sconfitto. Il ct azzurro Paolo Bettini, che non si é detto preoccupato, ne avrà di lavoro da svolgere per tirare su un movimento che rischia di decadere. E questa sarebbe un’altra sconfitta. Più grave e pesante.

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